Parchi: altro che tagli, servono investimenti!
Nemmeno i parchi sfuggono ai tagli della spending review del governo. Entro fine mese, infatti, i ventiquattro Parchi Nazionali italiani dovranno eliminare il 10% delle spese per il personale, un taglio che si somma a quelli – già consistenti (circa il 35%) – imposti negli ultimi anni.
La situazione è critica. Secondo la Rappresentanza Unitaria del Parco Nazionale Gran Paradiso “interi uffici che seguono attività di ricerca scientifica, di salvaguardia del territorio e di promozione dello sviluppo sostenibile, verranno di fatto cancellati”. In realtà, l’allarme sembra destinato a rientrare, almeno parzialmente. I fondi a disposizione rimarranno pochi ma nessuno dovrebbe essere licenziato. “Se il taglio del 10% venisse gestito singolarmente per ogni ente parco allora perderebbero il posto 60 persone (su un totale nazionale di 760) – spiega Italo Cerise, presidente del Parco del Gran Paradiso – Ma come Federparchi abbiamo chiesto al governo di ragionare a livello di comparto, complessivamente. E alla fine il decreto dovrebbe andare in questa direzione”. Così chi ha più risorse potrà metterle a disposizione dei parchi che ne hanno meno, verranno tagliate solo spese “non essenziali” e con un’attenta redistribuzione si salveranno almeno i posti di lavoro.
Anche perché i Parchi Nazionali e Regionali italiani e le Aree Protette sono un patrimonio che meriterebbe – anche economicamente – di essere valorizzato. Non solo, infatti, curano e difendono il territorio, ma, conti alla mano, generano ricchezza. Secondo un recente rapporto di Unioncamere, a fronte di un costo di 60 milioni di euro, ogni anno i parchi generano un ritorno di 34,6 miliardi. Attorno e dentro ai parchi ci sono aziende enogastronomiche o artigianali che godono delle specificità del territorio, ci sono più di 16mila impianti fotovoltaici che generano il 4% dell’energia del Paese e c’è il turismo: ogni anno almeno 150 milioni di persone visitano queste zone, e i numeri sono in costante crescita.
C’è poi il discorso dei servizi ecosistemici: “I Parchi – spiega il direttore del Parco Fluviale del Po e della Collina Torinese Ippolito Ostellino – hanno anche un enorme impatto immateriale. Elementi come la difesa della biodiversità e del suolo, o l’importanza di avere aria e acqua pulita e il conseguente impatto sulla salute e i costi sanitari dei cittadini, vengono troppo spesso dimenticati”. Bisognerebbe dunque tener conto anche di questo e dei costi “indiretti” che l’inquinamento riversa silenziosamente sulla collettività quando si decide di tagliare i finanziamenti ai Parchi. “Purtroppo – continua Ostellino – spesso abbiamo gestito male i soldi quando erano di più, e ora ci troviamo in difficoltà, con i continui tagli che mettono in crisi l’intero sistema. Dobbiamo insistere perché venga riconosciuta l’importanza degli enti parco, i servizi ecosistemici sono già economia, e ignorarlo, in un momento difficile come questo, è una fesseria”.
Probabilmente c’è bisogno di trovare, anche in questo settore, nuove modalità di gestione. Secondo Ostellino “servono fondi per sfruttare al meglio le potenzialità del settore e per trovarli bisognerà ricorrere anche ai privati. Ovviamente la proprietà e le responsabilità devono rimanere in mano pubblica, ma non c’è motivo per non coinvolgere enti esterni in attività e appalti specifici”.
Sulla necessità di trovare investimenti è d’accordo anche Italo Cerise: “Prima però occorre rafforzare l’integrazione e la collaborazione fra i vari Parchi Nazionali e Regionali, fare sistema. Dobbiamo comunicare meglio le nostre attività di ricerca, monitoraggio e manutenzione del territorio. Far capire ai cittadini la nostra importanza e quanto possiamo offrire. A quel punto sarà evidente che i benefici che arrivano dai parchi sono enormemente maggiori dei costi per gestirli, e potremo convincere il governo che meritiamo nuovi investimenti”.
Matteo Acmè