Bombe a orologeria: in Italia più di 1.000 impianti industriali a rischio incidente
Impianti chimici, petrolchimici, depositi esplosivi, di gpl o composti e raffinerie: sono questi i 1.152 impianti a rischio di incidente rilevante (Rir) posizionati in 739 comuni italiani e concentrati, per lo più, in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. Una vera e propria bomba a orologeria analizzata nel dossier “Ecosistema rischio industrie” presentato a Roma da Legambiente e Protezione civile.
La legge prevede che per queste specifiche tipologie di stabilimenti, le aree circostanti vengano perimetrate per evitare, nel caso di un incidente, conseguenze sull’ambiente e sui cittadini. Purtroppo, però, tra i 210 comuni (sui 739 indicati dall’inventario nazionale del Ministero dell’Ambiente) che hanno risposto al questionario inviato da Legambiente, 104 amministrazioni presentano sul territorio nelle “aree di danno” strutture vulnerabili o sensibili: nel 18% dei casi sono presenti scuole, nel 13% centri commerciali, nell’8% strutture ricettive e turistiche, nel 7% luoghi di culto e nel 2% ospedali. Inoltre, in queste “aree di danno” ci sono anche abitazioni, isolate o insediamenti residenziali, stabilimenti industriali e attività produttive in genere. Per il capo del dipartimento di Protezione Civile, Franco Gabrielli, è preoccupante il fatto che “siamo un Paese poco sensibile su questi temi: siamo in una sorta di limbo, quello che mi allarma è la mancanza di consapevolezza”.
“Anche se la gestione del rischio non compete ai Comuni – spiega Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente – abbiamo deciso di puntare su di loro per far leva sulla consapevolezza dei cittadini. Cittadini consapevoli e informati sono cittadini che reagiscono meglio in caso di incidenti”. Il rapporto, infatti, fotografa una situazione non positiva dell’informazione dei cittadini: solo 105 Comuni, quindi il 50% di quelli che hanno risposto al questionario, hanno dichiarato di aver realizzato campagne informative sui comportamenti da tenere in caso di emergenza, per dare a coloro che lavorano e vivono in prossimità degli impianti “Rir” informazioni pratiche su come riconoscere i segnali di allarme e mettersi in salvo. Sono 122 i comuni che hanno stretto una collaborazione con associazioni di volontariato o con sezioni di protezione civile, 96 amministrazioni hanno realizzato opuscoli informativi, 59 hanno puntato sul sito internet creando delle pagine ad hoc, 30 hanno organizzato iniziative nelle scuole e 58 degli incontri pubblici. “Le esercitazioni sono le pratiche più importanti da fare”, aggiunge Muroni, ma solo 75 Comuni del campione hanno dichiarato di aver proposto delle esercitazioni o partecipato a esercitazioni sul rischio industriale, 34 le amministrazioni che hanno coinvolto anche la popolazione.
“La prima cosa che un comune dovrebbe fare è individuare le fasce di rischio attorno allo stabilimento: ‘di sicuro impatto’, ‘di danno’, ‘di attenzione’ – prosegue Muroni -. In questo, centrale è la pianificazione urbanistica di quelle zone che sono più a rischio”. Esemplare è il caso della legge 100/2012 sul riordino della Protezione civile. Spiega Gabrielli: “La legge 100 ha introdotto la norma per la quale i piani di pianificazione del territorio devono essere sottoposti alla Protezione civile. Finora, solo il Comune di Alessandria lo ha fatto”. Si tratta, aggiunge Simone Andreotti, responsabile Protezione civile di Legambiente, di “un problema diffuso, c’è un pezzo di Italia dove ci sono impianti industriali vicini alle case. E’ necessario prendere coscienza del rischio con il quale si convive”.
“I dati non ci confortano – aggiunge Gabrielli – pochi Comuni hanno risposto e quelli sono coloro i quali hanno qualcosa da dire: Taranto, per esempio, non ha risposto e non ci risulta essere un Comune non implicato da questo punto di vista. Le esercitazioni sono state previste solo da 34 amministrazioni: un maturo sistema di Protezione civile è tale se ha un ottimale piano di prevenzione. Il giorno in cui avremo la gente consapevole che capisce una serie di informazioni, avremo il compimento dello sforzo di un maturo piano di Protezione civile”.
Le situazioni più pericolose? “Esistono dove ci sono strutture nelle aree di danno, e in questo la criticità è omogenea, non c’è un nord o un sud”. E nelle agende dei candidati alle prossime elezioni, poco (o per niente) spazio è dedicato a questi temi: “Sono questioni alle quali l’elettore si appassiona poco, ci arrabbiamo quando poi accade la tragedia o quando c’è l’emergenza. Ma quando le persone saranno consapevoli e sapranno cosa fare in caso di pericolo, avremo un Paese più sicuro”, dice ancora Gabrielli facendo l’esempio del trasporto di merci pericolose. “Non immaginiamo quante di queste merci viaggiano ogni giorno, ad esempio, sul Grande Raccordo Anulare di Roma. Stiamo studiando una soluzione con i colleghi del Ministero dell’Interno. Lì c’è un mondo che è impressionante”, e pericoloso: “Un conto – aggiunge – è sapere che quell’insediamento è statico, altro è sapere di questa movimentazione. Pensando ai numeri ho la sensazione che le tragedie siano poi minori di quanto si potrebbe prevedere. Ci verrebbero i brividi – conclude il capo della Protezione Civile – se sapessimo quello che viaggia sui treni. Forse ci siamo dimenticati troppo presto di quanto successo a Viareggio”.
Marta Rossi