Forse non tutti sanno che…Breve dizionarietto energetico
Una piattaforma petrolifera off shore esplosa al largo delle coste della Louisiana; l’annuncio di un maggiore impulso al gasdotto South Stream e, in contemporanea, l’accordo italo-russo per una “nuova frontiera” sul fronte della fusione nucleare; esposizioni e festival dell’energia in agenda nei prossimi giorni a partire da Solar Expo di Verona e dal Festival dell’Energia di Lecce: la cronaca degli ultimi giorni racconta come le questioni relative all’energia condizionino scelte, stili di vita e comportamenti sociali.
Basti pensare agli schieramenti “esistenziali” e alla lacerazione provocata nel nostro Paese dall’annunciato ritorno al nucleare. Di più. L’attuale fase recessiva è stata generata e drogata, almeno in parte, da una “bolla energetica, agricola e alimentare” senza precedenti. Insomma, di energia se ne parla tanto e spesso con apprensione, ma forse senza prendere il toro per le corna. Su giornali, televisione, radio e web.
Siamo bombardati da informazioni energetiche in un crescendo vorticoso e, non di rado, spericolato. Difficile talvolta separare il grano dell’informazione necessaria a “farsi un’idea” dal loglio dell’effetto annuncio. Ecco allora di seguito un piccolo dizionario che – secondo una mera scansione temporale e limitandosi solo ai più recenti fatti di cronaca – prova a spiegare, senza pretese di esaustività, alcune delle questioni e dei termini che maggiormente hanno trovato spazio sui media.
22 Aprile 2010. Esplode una piattaforma al largo della coste della Louisiana utilizzata per l’estrazione del petrolio sottomarino. Tecnicamente questo tipo di strutture si chiamano offshore, cioè, appunto, localizzate in mare. Di fatto, in campo energetico il settore petrolifero non ha il copyright sull’uso di questo termine. Offshore sono infatti anche le centrali eoliche in mare aperto, dove è possibile sfruttare meglio tutte le potenzialità del vento e dove l’impatto ambientale è minore rispetto a quelle sulla terraferma (onshore). In Italia, dove i vincoli paesaggistici sono molto forti, la possibilità di costruire impianti offshore è dunque una possibilità importante. Così, fra i due settori energetici si assiste a un curioso rovesciamento: i danneggiamenti di una piattaforma petrolifera offshore sono infatti molto più pericolosi per l’ecosistema circostante rispetto a quelli provocati dai pozzi tradizionali onshore. Ed è proprio il caso della Louisiana a dimostrare come sia estremamente difficile arginare eventuali ingenti perdite di greggio offshore. La principale ragione per cui si costruiscono centrali eoliche offshore risiede invece nel fatto che in mare aperto il vento è teso, costante e senza riflussi. Inoltre al largo è possibile installare pale più alte e puntare, così, su maggiore potenza. A fare scuola sono i modelli già sperimentati nel Nord Europa, sferzata da venti abbondanti.
26 Aprile 2010. Durante l’incontro italo-russo si è cercato di sgombrare il campo da nubi che si stavano addensando sul progetto South Stream. Tradotto: le questioni energetiche sono sempre questioni geopolitiche. E la realizzazione del gasdotto (e del “gemello” Nord Stream) potrebbe proprio mettere in crisi alcun consolidati rapporti di potere sullo scacchiere europeo. Sulle due pipeline si fondano infatti le speranze russe di una maggiore influenza strategica (politica ed economica) in Europa. Una presenza “ingombrante” che si attuerebbe così attraverso il quasi monopolio dell’esportazione di gas, la sostituzione dei volumi oggi provenienti dall’Ucraina, l’acquisizione di vantaggi competitivi nei confronti di concorrenti quali Iran e Turchia. L’ambasciatore Richard Morningstar, inviato speciale di Hillary Clinton per l’Energia in Eurasia, si è prudentemente dichiarato “non ostile” ai due gasdotti progettati per collegare l’Unione Europea e la Russia. Ma è chiaro che gli Stati Uniti restano molto interessati alla fitta rete di alleanze che si stanno tessendo intorno a questa partita energetica. Di fatto, anche grazie a South Stream (i lavori inizieranno nel 2012) Mosca si assicurerebbe contro un’eccessiva dipendenza europea da Washington. Il tracciato della pipeline (sviluppata congiuntamente da Eni e Gazprom, che potrebbero cedere entrambi una quota del 10% a Edf) sarà diviso in due tronconi: una sezione offshore nel Mar Nero e un’altra su terra. Partendo probabilmente dal porto russo di Beregovaya i circa 900 chilometri di gasdotto nel Mar Nero dovrebbero approdare nello scalo bulgaro di Varna. Da lì il percorso continuerebbe via terra seguendo due direzioni, attraverso la Bulgaria in direzione nord-ovest per raggiungere Austria e Ungheria e a sud-ovest verso l’Italia, passando per la Grecia e il canale di Otranto. La capacità del gasdotto dovrebbe raggiungere i 63 miliardi di metri cubi l’anno.
26 aprile 2010. Sempre nel corso dello stesso incontro tra Italia e Russia, i due Paesi hanno siglato un accordo sull’energia nucleare da fusione. In realtà, l’utilizzo delle reazioni da fusione nucleare è un possibile metodo di produzione di energia in fase di sviluppo da circa 50 anni. Da quando, sviluppata per motivi bellici nella forsennata rincorsa alla bomba più potente, si arrivò nel 1951 al primo test della bomba H. Da allora molta strada è stata percorsa nella ricerca dello sfruttamento delle reazioni nucleari e, come la fissione nucleare, la fusione ha visto una concreta prospettiva di impiego civile. E’ la fusione nucleare a tenere acceso il nostro Sole, come tutte le altre stelle. Dunque, il sogno accarezzato è quello di potere riprodurre sulla terra quella fonte inesauribile di energia. Insomma, una sorta di “sole in bottiglia”, da accendere e spegnere a piacimento. Un sfida colossale, anche perché le condizioni fondamentali per la fusione controllata risiedono principalmente nel riscaldamento del plasma (stato della materia formato da nuclei positivi ed elettroni generati dalla dissociazione di atomi riscaldati già a 100 mila gradi) fino alle temperature necessarie a produrre la reazione di fusione (almeno 100 milioni di gradi) e, quindi, nel contenimento e nell’isolamento termico del plasma stesso, per evitare i danni alla struttura che lo accoglie e minimizzare le perdite di energia. In definitiva si tratta di raggiungere un rapporto sufficiente tra energia depositata nel plasma dai prodotti di fusione e l’energia spesa per mantenerlo a quelle condizioni. Nella comunità scientifica è opinione abbastanza diffusa che la fusione, se tutto andrà bene, potrà essere tecnologicamente matura nella seconda metà di questo secolo. Tuttavia, ciò che poi conta veramente, è la sua industrializzazione. E proprio su questo aspetto non molti sono disposti a scommettere che una sensibile penetrazione industriale, come fonte energetica primaria, possa avvenire prima del prossimo secolo. Dal punto di vista dell’energia atomica, i prossimi novanta anni saranno dunque ancora dominati dalla fissione. Ma allora perché tanto clamore, tante risorse e energie investite sulla fusione? Ciò che incoraggia a proseguire sono soprattutto i vantaggi prospettati: grande disponibilità di combustibile economicamente conveniente, minima emissione di CO2 e di altri inquinanti atmosferici, basso rateo di produzione di rifiuti radioattivi e, comunque, a più breve vita, nessuna necessità di un loro smaltimento in un deposito geologico permanente.
Il 5, 6 e 7 maggio 2010 si terrà il Solar Expo di Verona. Torna in ballo il sole. E questa volta non per imprigionarlo sulla Terra, come nel caso della fusione, ma per sfruttare il suo irraggiamento e convertirlo in energia adeguata alle esigenze dell’uomo. Per farlo si parla spesso dei moduli fotovoltaici e del solare termico, spesso confondendoli fra loro. Eppure fra le due modalità di trasformazione dell’energia solare vi è una notevole differenza, che risiede principalmente nella possibilità di immagazzinamento. La prima deve essere usata contemporaneamente alla sua produzione, mentre la seconda può essere anche immagazzinata per brevi periodi ed usata a richiesta. Per il Global Environment Facility è possibile che entro il 2025 si consolidi una riduzione del costo del chilowattora da centrali solari a concentrazione fino a circa 0,04 €/ kWh. Riduzione che farebbe raggiungere il pareggio con i combustibili fossili (attualmente il costo del kWh da concentrazione è valutato il doppio).
Altro giro altra corsa al Festival dell’Energia Spiegata di Lecce (20 al 23 maggio 2010). Energia idraulica, da sorgenti geotermiche o da biomasse che sia. Fin dagli albori della civiltà l’uomo ha sempre sfruttato l’energia idraulica. Si pensi per esempio ai mulini ad acqua. Eppure solo nel diciannovesimo secolo ha imparato a trasformarla in energia elettrica e trasportarla dai luoghi di produzione a quelli di utilizzo. Nel 1963 la produzione idroelettrica italiana rappresentava circa i 2/3 del totale, mentre oggi è ancorata su livelli nettamente inferiori. Secondo i dati riportati da uno studio della Società Italiana di Fisica[1] si potrebbe “ottimisticamente ipotizzare di qui al 2020” una produzione attestata “intorno ai 45-50 TWh”. Eppure il territorio del nostro Paese avrebbe una potenzialità idroelettrica annua di circa 65 TWh. Cosa frena dunque l’espansione di questa importante fonte naturale? Principalmente vincoli autorizzativi e ambientali, costi di investimento unitari crescenti soprattutto in presenza di una tecnologia matura. E l’energia geotermica? Pochi lo sanno, ma essa è prodotta anche da reazioni nucleari al centro della Terra. E pochi sanno che, pur in presenza di una limitata disponibilità mondiale di energia elettrica da questo tipo di fonte naturale (circa 78,8 TWh annui) l’Italia vanta la quarta capacità geotermica installata a livello mondiale (6.96 TWh l’anno). Per il futuro la possibilità di sfruttamento dipenderà altresì dall’incentivazione politica tenendo però conto che i costi dipendono soprattutto all’ammortamento dell’investimento e dall’esercizio. I costi di mantenimento sono infatti limitati e la “materia prima” è gratuita. Senza contare i vantaggi legati alla sicurezza e al totale rispetto dell’ambiente. L’Islanda – paese molto proiettato sul geotermico – docet. L’energia da biomasse (termine che comprende ogni sostanza organica utilizzabile come fonte di energia o come materia prima in campo industriale) in Italia rappresenta, dopo l’idroelettrico, la più importante fonte rinnovabile. Nel 2005 le biomasse (compresi i rifiuti) hanno fornito circa il 2,5% dell’energia primaria volta principalmente alla produzione di energia termica ed elettrica.
Bruno Pampaloni
[1] Energia in Italia: Problemi e Prospettive (1990-2020)