Screen city: la città dal virtuale al reale, attraverso schermi intelligenti
Immaginate di alzarvi la mattina, controllare la vostra agenda digitale sullo specchio touch-screen del bagno, accendere con un tocco il fornello a induzione per fare il caffè e intanto rispondere a una video-chiamata ingrandendo l’immagine direttamente sul piano della cucina; poi di uscire e programmare il percorso con un gesto sul display dell’automobile (elettrica?), che nel frattempo si sarà sincronizzata con i monitor del traffico sulle strade cittadine, arrivare in ufficio e presentare la vostra relazione “trascinando” testi e immagini sulla parete-schermo della sala riunioni (in stile CSI), fare un po’ di video-shopping, e infine tornare a casa e rilassarvi sfogliando un libro sul vostro e-reader.
Non è Blade Runner e nemmeno Harry Potter, ma un futuro non troppo lontano, che qualche volta, anzi, è già diventato presente. La suggestione di una giornata fatta di schermi intelligenti è una delle tante raccolte dal comitato scientifico del neonato web-magazine Screen City e presentate in questi giorni nell’ambito della Social Media Week di Torino.
Screen City è un portale, una rete di soggetti, un laboratorio di progetti, ma prima di tutto è una visione, nata a cavallo tra la sociologia dei media e l’urbanistica. Si parte da una semplice quanto potente constatazione: lo schermo, quello stesso schermo con cui, fino a qualche tempo fa, ci relazionavamo come soggetti puramente passivi, fruitori di informazioni “calate dall’alto”, è negli anni diventato – almeno nell’esperienza privata – uno strumento sempre più interattivo. La stessa sorte potrebbe allora toccare anche agli schermi urbani, il digital signage, trasformandoli da mezzi di diffusione di contenuti istituzionali o pubblicità, a sistemi interattivi che, dialogando con i cittadini, siano in grado di assolvere a una serie di funzioni utili nell’ambito, ad esempio, della sicurezza, dell’efficienza energetica, della mobilità.
«Alla fine degli anni ’80 usciva un celebre saggio del sociologo americano Joshua Meyrowitz intitolato “Oltre il senso del luogo” – ha spiegato Giulio Lughi, membro del comitato scientifico di Screen City e docente all’Università di Torino – Sembrava allora che il mondo mediatico avrebbe ogni giorno di più sostituito quello reale. Ma pian piano ci siamo accorti che non era vero: i nuovi media, al contrario, hanno dato vita a una sorta di rispazializzazione, attraverso funzioni come la tracciabilità e la geo-localizzazione. Si assiste quindi a un ribaltamento dello schermo: lo schermo è oggi il territorio stesso che, una volta solo percorribile, diventa scrivibile».
Un po’ quello che è accaduto a Helsinki con il progetto sperimentale Urbanflow, che si propone di trasformare gli schermi urbani in piattaforme di dialogo fra la città, i suoi residenti e i turisti. La sincronizzazione di computer, tablet e smartphone con i monitor in punti strategici del tessuto urbano rende possibile lo scambio di informazioni e feedback su ogni aspetto della vita metropolitana: traffico, incidenti, manifestazioni ed eventi culturali, dati ambientali come la qualità dell’aria, il consumo energetico e le emissioni di CO2, bike-sharing, orari dei trasporti pubblici, stazioni di polizia, ecc. Utenti e istituzioni sono così messi sullo stesso piano e partecipano entrambi alla creazione di una mappa interattiva, inviando e verificando in tempo reale dati e notizie.
Ma non è detto che l’utilizzo degli schermi urbani debba necessariamente essere guidato da istituzioni pubbliche. Emblematico è l’uso che ne ha fatto Amnesty International per la campagna “Unlock the truth about Guantanamo” in Svezia: a ogni firma inviata tramite iPad, sullo schermo gigante nella piazza principale di Stoccolma le sbarre si aprivano e “liberavano” il nome di un prigioniero, rendendo così emotivamente e simbolicamente evidente l’efficacia di ciascun piccolo contributo alla causa.
Più prosaicamente, il colosso dello shopping online Tesco, con il motto di “Let the store come to people”, ha creato un supermercato virtuale nei corridoi dell’affollatissima metropolitana di Seoul. Su schermi grandi come veri scaffali del supermarket, gli indaffaratissimi coreani puntano i loro smartphone, inquadrano ciò che vogliono mangiare per cena e, tramite un QRcode, ne prenotano l’orario di consegna: certo un po’ alienante, ma indubbiamente un risparmio di tempo e di stressanti spostamenti nel traffico cittadino.
«Insomma, il nostro portale vuole essere un osservatorio su questo tipo di esperienze e sperimentazioni – ha concluso Simone Arcagni, direttore di Screen City e ricercatore all’Università di Palermo – Raccoglieremo pubblicazioni e ricerche accademiche, ma soprattutto terremo d’occhio ciò che succede nel mondo, segnalando idee, prototipi e progetti già realizzati che possano servire da spunto anche ad altri innovatori. L’importante, dal nostro punto di vista, è che siano utili ai cittadini. Non abbiamo bisogno di un’altra televisione in piazza, ma di strumenti che stimolino la partecipazione e l’inclusione e ci facciano sentire parte intelligente del sistema-città».
Giorgia Marino