Montagne: termometro dei cambiamenti climatici e habitat dell’economia verde
Oggi, 11 dicembre, è la Giornata internazionale della montagna. Per le Alpi italiane tuttavia c’è poco da festeggiare: «Entro 80 anni ghiacciai scomparsi… o quasi». L’allarme arriva dai dati conclusivi di “Share Stelvio”, un progetto pilota promosso dal Comitato EvK2CNR.
Il progetto ha puntato ad analizzare e quantificare gli impatti del cambiamento climatico su ghiaccio e acqua del Parco Nazionale dello Stelvio. Oggetto delle ricerche sono stati i ghiacciai, il permafrost (porzione di terreno perennemente congelato), i torrenti e i laghi e la composizione dell’atmosfera alle alte quote (misure di particolato atmosferico e ozono) dell’area lombarda del Parco. Share Stelvio ha coinvolto i ricercatori di tre istituti del CNR (ISAC, ISE e IRSA) e dell’Università degli Studi di Milano, della Cattolica, dell’Università dell’Insubria e del Politecnico di Milano.
I dati conclusivi del progetto Share Stelvio sono allarmanti: dal 1954 al 2007 si è avuta una riduzione areale del 40% dei ghiacciai (scomparsi circa 20 Km2 di ghiaccio). Negli ultimi anni la deglaciazione è aumentata in modo impressionante: dal 1954 al 1981 è stata di -0,24 Km2/anno, dal 2003 al 2007 invece -0,7 Km2/anno. Tre volte tanto. «Entro il 2100 – aggiunge ancora lo studio – il più grande ghiacciaio vallivo delle Alpi italiane, il ghiacciaio dei Forni, ridotto, secondo le proiezioni ottenute dai ricercatori, al solo 5% del suo attuale volume. E ancora, 36 laghi alpini scomparsi in gran parte situati sotto i 2500 metri di quota, 22 nuovi apparsi sopra i 2900 metri: insomma l’aumento delle temperature che impatta su tutto l’ecosistema montano». Questi dati valgono solo per lo Stelvio? «Date l’estensioni e le caratteristiche dei ghiacciai esaminati gran parte dei dati possono considerarsi estensibili ai ghiacciai alpini italiani», spiega Guglielmina Diolaiuti, ricercatrice dell’Università di Milano e di EvK2CNR e responsabile scientifica del progetto.
La conservazione dell’ecosistema alpino e lo scioglimento dei ghiacciai sono considerati uno dei principali indicatori dei cambiamenti climatici. «La montagna ci dà segnali premonitori – osserva Francesco Pastorelli, direttore di CIPRA Italia – rispetto a quelli che possiamo avvertire in città o in pianura. Tuttavia questi segnali non li abbiamo presi molto in considerazione. La tendenza è quella di andare verso un’ulteriore criticità relativa al cambiamento climatico». Con quali effetti? «Le ripercussioni di ciò che avviene nelle montagne si avvertiranno di più al di fuori delle Alpi. Al venir meno della riserva di acqua dolce costituita dai ghiacciai alpini le conseguenze maggiori le pagheranno i fondovalle e le pianure. A nord e a sud delle Alpi abbiamo diversi milioni di persone che attingono da questo “serbatoio”. Oggi questo serbatoio ha acceso la spia: è in riserva».
Tuttavia neve e ghiacciai non rappresentano solamente una riserva d’acqua per le pianure. Per molte località costituiscono una risorsa turistica. La fruizione della montagna nella stagione fredda è però legata principalmente agli sport invernali: si tratta di attività con impianti di risalita che in alcuni casi hanno modificato in modo significativo il territorio alpino. Ma esiste un modo più “sostenibile” di vivere la montagna, anche in inverno? «Oggi su questo aspetto qualcosa si sta muovendo – aggiunge il direttore di CIPRA Italia – anche in risposta ad alcune situazioni di crisi. Ci sono delle esperienze interessanti nelle Alpi francesi o svizzere, dove alcune località, vista la mancanza di certezze economiche per il turismo da discesa e gli impianti di risalita, hanno iniziato a diversificare la loro offerta andando in alcuni casi, addirittura, a smantellare alcuni impianti di risalita per orientarsi verso altre attività. La stazione di Saint-Pierre-de-Chartreuse, nell’Isère si è trasformata nella prima “station trail” di Francia: un luogo dove poter camminare e correre in mezzo alla natura, non soltanto durante la bella stagione, ma anche in inverno. E anche in Italia ci sono alcune piccole stazioni di bassa quota che non hanno visto la crisi come un dramma ma un’opportunità per orientarsi su altre offerte: è il caso della stazione di Pian Munè di Paesana (CN) che ha riaperto i battenti puntando sull’escursionismo».
Se il bianco è il colore predominante d’inverno in montagna, d’estate spazio al verde: il 48% del territorio alpino è infatti coperto da foreste. Un patrimonio da salvaguardare al pari dei ghiacciai. Le foreste, spiega Marco Flavio Cirillo, sottosegretario al Ministero dell’Ambiente con delega alla montagna costituiscono «un capitale naturale che rappresenta uno degli strumenti più efficaci per coniugare sviluppo sostenibile e una crescita verde»: «Caratterizzano il paesaggio alpino con la loro biodiversità, garantendo un valore paesaggistico indispensabile alla promozione del turismo, migliorando la qualità dell’aria attraverso l’assorbimento del CO2 e regolando il ciclo delle acque. Sostenere un’economia di montagna che valorizzi le peculiarità dei territori è fondamentale nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Ed è anche un modo per contrastare il fenomeno dello spopolamento delle aree di montagna a cui si è assistito negli ultimi decenni».
Giuseppe Iasparra