Debriefing su Rio+20 al Ministero: si poteva fare di più?
Dalla Conferenza sui risultati di Rio+20, organizzata dal Ministero dell’Ambiente presso l’Aula Magna dell’Università Luiss, a Roma, emergono punti di vista molto diversi: da una parte, il Ministero, rappresentato da Paolo Soprano, Direttore per lo Sviluppo Sostenibile e i rapporti con l’Associazionismo, si mostra sostanzialmente soddisfatto: “Il processo negoziale è stato lento, nonostante il poco tempo a disposizione, e non è riuscito a chiudere il negoziato nella fase preparatoria. La gestione del negoziato nella parte finale del Brasile è stata molto complessa, con un testo ancora non finalizzato, ma anche positiva, in quanto ha portato un risultato concreto.”
Secondo Soprano il testo approvato a Rio, “The future we want” non può essere etichettato come un risultato mediocre”, in quanto è stato “raggiunto l’obiettivo per rinnovare e rafforzare l’impegno per lo sviluppo sostenibile” – nonostante la crisi economica, sembra di leggere tra le righe. Sulla stessa linea Alessandro Busacca, Direttore Centrale DGMO, Sous-sherpa G8/G20 del Ministero degli Esteri, che sottolinea però come una delle differenze principali, rispetto alla prima conferenza di Rio del 1992 – e che ha portato a una difficoltà intrinseca del processo negoziale – sia stata l’approccio: laddove nel ‘92 gli obiettivi erano stati definiti dalle Nazioni Unite, con un approccio top-down, questa volta erano gli Stati stessi a poter decidere le definizioni e i target; ma con un risultato molto diverso e di più difficile costruzione.
Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia, esprime invece molte perplessità sull’adeguatezza della politica rispetto alle sfide in corso: le risorse naturali, che sono alla base del sistema sociale umano e anche del sistema economico sono in pericolo. “Il debito ambientale che stiamo accumulando sarà molto più difficile da risolvere.” Il mondo dell’associazionismo si conferma, dunque, amaramente deluso, in quanto i nodi principali per il futuro dell’umanità non sono stati sciolti.
Ma a parte i risultati del summit dei governi, il principale lascito di Rio+20 potrebbe essere la rinascita di un nuovo fermento portato dal “mondo esterno” alla politica nei due eventi paralleli, che pure si sono svolti a Rio a giugno: dall’associazionismo, presente al Forum dei Popoli, al mondo delle imprese, che aveva organizzato un proprio summit, il Global Compact Forum. Marco Frey, chairman del Global Compact Network in Italia e direttore dell’Istituto di Management dell’Università Sant’Anna di Pisa, illustra le principali azioni delle aziende per la sostenibilità, e in particolare il contributo per la discussione di un “nuovo modello di sviluppo: lo possiamo chiamare green economy oppure Sustainable and Inclusive Growth”, ma comunque le aziende, soprattutto le grandi aziende multinazionali, che spesso hanno un potere economico (e politico) maggiore di alcuni Stati, devono necessariamente contribuire a questa trasformazione.
Sul fronte dell’associazionismo, anche Laura Ciacci di Slow Food Italia sottolinea come Rio+20 sia servito a compattare le ONG e far fronte comune: “Abbiamo dimostrato che la società civile è più avanti rispetto alla politica”, afferma, ma non nasconde un pensiero che è quasi un rimpianto: “Siamo stati poco arrabbiati, non ci siamo mossi in tempo. Chissà se avremmo potuto fare di più.”
Veronica Caciagli