Botteghe e farmer’s market salveranno il mondo. Parola di Carlin
Il cibo in quanto bene comune, ma soprattutto quale strumento di “liberazione”: è la diffusione di questo messaggio il merito che ha determinato il conferimento, a Carlo Petrini, del titolo Master Honoris Causa in Comparative Law, Economics and Finance, consegnato il 4 marzo presso il Teatro Vittoria di Torino dalle mani del Prof. Ugo Mattei dell’International University College of Turin (IUC). Il fondatore di Slow Food, raccontano i promotori della laurea ad honorem, ha infatti costituito un modello di economia alternativa a quella globalizzata, che restituisce dignità alle comunità agricole, al lavoro, alle tradizioni, alla qualità. È la rivoluzione di concetto innanzitutto, culturale e poi politica ed economica, alle spalle di Slow Food (organizzazione oggi presente in oltre 150 paesi del mondo) e del network Terra Madre.
“La cultura del cibo è oggi più che mai schizzofrenica. Viene promossa la grande produzione e la grande distribuzione, a scapito della qualità e del valore del prodotto – che non ha nulla a che vedere con il prezzo, ve lo posso garantire- e poi, però, a qualunque ora si accenda la televisione c’è qualcuno che spadella; e il cibo diventa status symbol, tanto che la maggior parte dei bambini dice di voler fare lo chef, senza neanche sapere cosa significhi davvero!”, tuona Petrini.
La rottura – secondo Carlin, inserito nel 2004 nella lista degli “Eroi Europei” redatta dal Time - si è aperta con la rivoluzione industriale, quando l’agricoltura da economia di sussistenza è passata a seguire la logica dell’accumulo. L’agricoltore, che prima produceva per il mantenimento della propria comunità, è stato invitato, sollecitato e facilitato a diventare “imprenditore agricolo” e su questo punto si racchiude tutto il fallimento dell’economia dell’abbondanza e dello spreco. “È evidente che con la morte dell’agricoltura di sussistenza si sono perse anche le diversità e la coesione sociale o senso di collettività. Per questo è necessario tornare al lavoro della terra, al locale, alla valorialità del cibo, come mezzo di recupero delle biodiversità, della dignità del lavoro e di contrasto al degrado delle campagne, che senza la manutenzione costante di chi la campagna la vive è in stato di totale abbandono. Pasolini diceva “Il giorno in cui questo paese perderà contadini e artigiani non avrà più storia” e oggi, eccoci, siamo alla deriva”.
Ma com’è possibile convincere i giovani che l’agricoltura è una reale alternativa quando oggi al produttore un chilo di carote viene pagato 30 centesimi per essere poi rivenduto al pubblico al doppio? Come, se un litro di latte viene pagato all’allevatore pochi centesimi per essere poi messo sul mercato industriale, impoverito di ogni proprietà, a più di un euro a scatola? Come si può parlare di lavoro valido e dignitoso in un paese in cui si lasciano marcire i frutti sugli alberi perché costa più raccoglierli che venderli?
“È il paradosso di un sistema non sostenibile, che si basa sulla quantità e sul prezzo (basso, il più basso possibile). Ma è ora di invertire la rotta”, e di creare degli strumenti perché le economie locali e genuine possano essere rilanciate. E casca a pennello, allora, l’esperienza degli Stati Uniti – dove peraltro il supermercato è nato – dove l’associazione di Bra è stata chiamata proprio per promuovere la realtà dei mercati locali. Così, anche grazie all’impegno del Dipartimento dell’Agricoltura Statunitense (Usda) che negli ultimi anni ha incrementato gli sforzi per sostenere le opportunità di commercializzazione locali e regionali per i produttori, i farmers’ market sono passati dai 5.000 nel 2008 ai 12.000 di oggi e le vendite dirette degli agricoltori a singoli consumatori sono cresciute di oltre il 50%. “La grande capacità degli americani è quella di reinventarsi, così i giovani laureati si sono messi a lavorare la terra, con grande dignità, competenza e devozione”. E, anche, con un grande sistema di supporto e solidarietà. “Negli Stati Uniti sono nate le community supporter, che vanno oltre il nostro concetto di Gruppo di Acquisto Solidale. I cittadini anticipano i loro risparmi ai produttori che con il tempo ripagheranno in prodotti, tagliando così il sistema di debito/credito alle banche e creando un investimento che alimenta un processo assolutamente virtuoso e sano; ma anche sicuro perché, come si dice in piemontese, in mano ai contadini i soldi non li perdi mai”.
Questo significa creare le opportunità in un periodo di crisi e ridare un senso a un sistema ormai al collasso, sintonizzandosi con il presente. Per questo quando si creava il cibo globalizzato e industrializzato, Slow food ha sostenuto i presidi di agricoltori e contadini locali; quando si parlava di cibo di massa, Slow Food si preoccupava di valorizzare le eccellenze dei territori; ora è il momento di rivoluzionare la distribuzione contro lo strapotere della grande distribuzione organizzata che sta letteralmente distruggendo le economie locali.
“Nella via centrale del mio paese, continua Petrini – considerato da The Guardian tra le 50 persone che possono salvare il mondo – una volta c’erano alimentari, panettieri, salumieri. Oggi ci sono solo banche, e la spesa si fa al centro commerciale”. Riprendere il territorio significa riprendere le redini del nostro futuro. Rigenerare il ruolo del bottegaio (“bottegai che abbiano studiato e girato il mondo, che in una logica olistica affrontino la necessità di nutrire il pianeta partendo da una logica di responsabilità verso il territorio in cui operano”) significa ridare orgoglio all’economia di sussistenza a livello locale, all’economia di piccola scala. Significa rivisitare e rimodernare le tradizioni contro un falso concetto dell’economia; ma anche e soprattutto, significa fare comunità, cultura, economia e politica. “Stare sul territorio e rilanciare il territorio, anche attraverso il cibo, significa fare democrazia, e questa è la vera democrazia partecipata di cui abbiamo bisogno più che mai in Italia e – questa volta permettetemi il termine – a livello globale”.
Alfonsa Sabatino