Sblocca Italia o Bidona Italia? Sei Regioni contro le “trivelle facili”
Cresce l’opposizione delle Regioni e dei sindaci all’articolo 38 del decreto Sblocca Italia che sceglie oggi le trivelle per fare cassa, a spese dell’ambiente, ipotecando lo sviluppo del turismo e della pesca sostenibile del Belpaese.
Sono già sei le Regioni (Abruzzo, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto) che hanno deciso di impugnare di fronte alla Corte Costituzionale, entro il 10 gennaio, la legge 166/2014 di conversione del decreto 133/2014, grazie all’azione promossa congiuntamente dagli ambientalisti di FAI, Greenpeace, Legambiente, Marevivo e WWF.
In quest’ultima regione il Presidente del Veneto, Luca Zaia, ha già dato incarico a due professionisti di formalizzare alla Consulta l’impugnazione di una serie di punti del Decreto Sblocca Italia, fra cui anche l’articolo 38. Questo e altri argomenti saranno portati il 23 dicembre all’approvazione della Giunta Regionale.
Come sostenuto e richiesto dalle associazioni ambientaliste, le Regioni stanno decidendo di contrastare la forzatura dirigistica, voluta dal Ministero dello Sviluppo Economico, e contraria al Titolo V della Costituzione, che bypassa l’intesa con le Regioni e stabilisce corsie preferenziali e poco trasparenti per le valutazioni ambientali e per il rilascio di concessione uniche di ricerca e coltivazione di idrocarburi.
Anche in Sicilia e in Basilicata monta la protesta delle popolazioni e dei sindaci che si stanno mobilitando e chiedono, con gli ambientalisti, ai governatori Crocetta e Pittella di non svendere il futuro del proprio territorio per una manciata di denari, che non valgono il rischio petrolio, come ha dimostrato il disastro ambientale del Golfo del Messico provocato dall’incidente alla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel giugno 2010 e il gravissimo incidente ad una condotta petrolifera nel Sinai israeliano ai primi di dicembre del 2014. In Sicilia nel mirino c’è il Canale di Sicilia e le aree a terra, soprattutto in provincia di Ragusa, e in Basilicata, dove verrebbe ridotto “a schiavitù petrolifera” oltre la metà del territorio regionale.
Bisogna ricordare che, secondo stime di Assomineraria, l’upstream, cioè la filiera di esplorazione e produzione (E&P) in Italia ed estero, vale il 2,1% del Pil italiano e con lo Sblocca Italia comporterebbe un aumento sul Pil dello 0,5%, mentre secondo il rapporto “World Travel & Tourism Council”, l’Italia ha ricavato nel 2013 dalle attività turistiche (compreso l’indotto), il 10,3% del proprio PIL.
“Il territorio sta chiedendo a gran voce al Governatore Rosario Crocetta, di impugnare l’art. 38 in difesa della Sicilia, invece di puntare sull’elemosina delle royalties” dichiarano le associazioni ambientaliste. Il presidente di ANCI Sicilia Leoluca Orlando nei giorni scorsi ha ricordato, tra l’altro, che nel Canale di Sicilia, preso di mira dai petrolieri, “ le aree in cui si intende posizionare le trivelle” sono estremamente fragili data la presenza “di sistemi vulcanici sommersi tutt’ora attivi”.
Anche in Basilicata la protesta continua con in testa i sindaci, a cominciare da quelli della Val D’Agri (da dove si ricava il 70% del petrolio estratto in Italia), e grazie ad un fronte ampio di cittadini, associazioni e studenti la protesta è arrivata anche in Regione, con l’approvazione, il 4 dicembre, di una risoluzione del Consiglio Regionale che chiede al Governatore Pittella l’impugnazione delle disposizioni dell’art. 38 che umiliano i poteri regionali, ma solo dopo che si sia tentata una mediazione con il Governo per superare con una norma correttiva nella Legge di Stabilità 2015 o nell’atteso decreto “Milleproroghe”. Per gli ambientalisti c’è il forte rischio che questo modo di procedere possa dare adito ad una manovra dilatoria per poi non decidere nulla, vista la scadenza ravvicinata del 10 gennaio per l’impugnazione della legge di fronte alla Corte Costituzionale. Continua dunque anche la mobilitazione #Sbloccafuturo #Bloccaildecreto delle associazioni ambientaliste in collaborazione con la Rete degli Studenti e la raccolta delle firme, a cui hanno già aderito migliaia di cittadini lucani, per chiedere al presidente Pittella di impugnare l’articolo 38 senza ulteriori indugi.
Gli ambientalisti ricordano che le disposizione dell’articolo 38 del decreto legge n. 133/201 ora convertito nella legge n. 166/2014 consentono di applicare le procedure semplificate e accelerate sulle infrastrutture “strategiche” ad una intera categoria di interventi, senza che vengano individuate le priorità e senza che venga chiarito se al “piano delle aree”, come previsto dalle leggi vigenti, si applichi la Valutazione Ambientale Strategica. Inoltre trasferiscono d’autorità, nel marzo 2015, le procedure di VIA sulle attività a terra dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente; compiono una forzatura rispetto alle competenze concorrenti tra Stato e Regioni, cui al vigente Titolo V della Costituzione, non prevedendo che sono necessarie “intese forti” con le Regioni; prevedono una concessione unica per ricerca e coltivazione, in contrasto con la distinzione comunitaria tra le autorizzazioni per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi; trasformano forzosamente gli studi del Ministero dell’Ambiente sul rischio subsidenza in Alto Adriatico, derivante dalle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, in “progetti sperimentali di coltivazione”; costituiscono una distorsione rispetto alla tutela estesa dell’ambiente e della biodiversità, rispetto a quanto disposto dalla Direttiva Offshore 2013/30/UE e dalla nuova Direttiva 2014/52/UE sulla Valutazione di Impatto Ambientale.