Parchi: consumo di suolo sette volte inferiore alla media italiana
I parchi salvano – assieme alla biodiversità – i paesaggi naturali e tradizionali. Meno cemento e asfalto, e naturalmente molte più foreste, agricoltura sostenibile, paludi e praterie: nelle aree protette italiane, il consumo di suolo è attestato stabilmente attorno all’1% e questi dati non vedono variazioni negli anni. Sulla lista dei 447 comuni italiani che guadagnano il massimo dei voti per indice di qualità del paesaggio, ben 286 si trovano nei parchi, il 64% del totale.
Sono questi i numeri del successo delle aree protette italiane nella fotografia scattata da Federparchi, l’associazione che raccoglie tutte le aree protette nazionali, che ha chiuso domenica 14 giugno il suo ottavo congresso a Trezzo sull’Adda (Parco dell’Adda Nord), nell’ambito dell’International Parks Festival.
Un’Italia diversa e virtuosa, quelle delle aree protette. Con meno densità abitativa, con tante meno strade, discariche, capannoni industriali. A oggi il consumo di suolo nei parchi è dell’1,06%, mentre nel resto del territorio nazionale si registra una media di oltre il 7%, secondo i dati dell’ultimo rapporto Ispra (marzo 2015). Una percentuale che sale drammaticamente sulle coste italiane, dove l’indice di consumo di suolo si impenna al 20%, registrando la cancellazione di aree naturali, di copertura verde, di sistemi di contenimento di frane e alluvioni oppure di boschi che producono ossigeno per tutti.
Ultimi in consumo di suolo e primi per indice di qualità paesaggistica. Nella ‘pagella’ elaborata da Federparchi – basata sui dati del progetto europeo Corine Land Cover – i parchi italiani si confermano come le zone non solo meglio conservate ma soprattutto più in salute sulla totalità dei comuni italiani. In una scala che va da 1 a 10, sono 447 i comuni che a livello nazionale meritano un bel 9. Di questi, il 64% ricade nelle aree protette (286). Tra i parchi nazionali, i più pregevoli dal punto di vista della qualità paesaggistica sono quelli dello Stelvio (voto 9,6 in una scala da 1 a 10), del Gran Paradiso (9,5) e Foreste Casentinesi (9,2). Basta uscire dai perimetri delle aree protette per trovare, in zone molto simili dal punto di vista geografico e ambientale, un indice di qualità più basso: nelle aree limitrofe allo Stelvio, il ‘voto’ si ferma all’8,4; mentre i dintorni del Gran Paradiso e alle Casentinesi registrano rispettivamente 8,8 e 7,9.
“La bellezza del paesaggio è un valore in sé, ma quando è riferita ai parchi significa anche altro”, spiega il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri. “Significa qualità ambientale, bassa artificializzazione del suolo, agricoltura ben condotta: in altre parole alto tasso di biodiversità e di valore degli ambienti naturali. Quelli italiani sono parchi che nascono in un territorio fortemente antropizzato, eppure evidentemente sono riusciti in questi decenni a raggiungere il loro obiettivo che è quello di assicurare uno sviluppo delle comunità umane compatibile con i valori naturali: anzi, i parchi hanno rappresentato un laboratorio di punta dell’innovazione e dell’economia green. A riconoscere questo primato al sistema italiano delle aree protette è ormai tutto il mondo: nei congressi mondiali dei parchi il caso Italia ha fatto scuola – continua Sammuri – e nel suo ultimo rapporto l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha finalmente certificato l’avvenuta completa conversione della logica di governance ambientale basata solo sullo stato di conservazione di corpi d’acqua, di specie e habitat verso un’ottica di tipo olistico basata sull’ecosistema nel suo complesso, comprese le minacce e le pressioni derivanti dalle attività imprenditoriali, fino al benessere dei singoli cittadini che deriva dalla fruizione dei paesaggi e della natura”.
A guadagnare da questa visione e da questo valore complessivo delle aree protette non è solo lo stato di salute della natura e dei dati ambientali: acqua, aria, suolo. Dal punto di vista economico, la qualità garantita da driver come l’indice di qualità paesaggistica si traduce in occasioni di lavoro soprattutto nel campo del turismo e anche in reddito immobiliare. Per quanto riguarda l’attività turistica, si registrano nei parchi 102 milioni di presenze con un fatturato di quasi 12 miliardi di euro: un dato in continua e costante crescita che ha segnato dal 2007 a oggi un più 7% di presenze, con un fatturato complessivo in aumento del 21%.
Infine, grazie al valore dei servizi ecosistemici assicurati dalla natura, i parchi sono diventati un possibile destinatario privilegiato di fondi europei non solo nel campo della conservazione. L’Accordo di partenariato per la nuova programmazione dell’Unione Europea 2014-2020 (che destina al nostro Paese circa 64 miliardi in 7 anni) cita espressamente, per la prima volta, le aree protette come strumenti fondamentali per perseguire gran parte dei suoi obiettivi; prevede specifici indicatori di risultato, tra i quali anche quelli che richiamano il ruolo e le funzioni dei parchi, in particolare per la pesca, il turismo e l’agricoltura; sottolinea l’opportunità di rafforzare le politiche di greening attraverso la tutela della biodiversità e del paesaggio agrario e la lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta dunque di un’occasione straordinaria per permettere alle aree protette di affermare concretamente il loro ruolo strategico nella nuova programmazione e anche per migliorare l’efficacia della spesa per uno sviluppo sostenibile, intelligente e duraturo.