Mercati illegali: numeri, storie e scenari della “globalizzazione in nero”
Più di un’inchiesta ogni 4 giorni, con 297 persone arrestate e denunciate, 35 aziende sequestrate e un valore di 560 milioni di euro finito nelle mani degli inquirenti: negli ultimi due anni hanno interessato l’Italia 163 indagini internazionali per traffici illeciti di rifiuti, merci contraffatte, prodotti agroalimentari e specie animali. Un’escalation di speculazioni illegali e scenari sempre più inquietanti che riflettono un legame indissolubile fra l’andamento del commercio mondiale e quello dei mercati fuori legge. È quanto emerge dalla ricerca “Mercati illegali“, presentata ieri a Roma da Legambiente e Consorzio Polieco sui flussi illeciti tra l’Italia, l’Europa e il resto del mondo. Un dossier che, attraverso l’analisi delle connessioni fra le diverse filiere merceologiche, i soggetti coinvolti, le modalità operative, i luoghi più battuti dalle trame criminali, mette in luce come la fetta “in nero” della globalizzazione si sovrapponga e si mischi a quella legale, crescendo con essa a velocità supersonica.
“Per stroncare questi mercati illegali – ha detto Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente – è importante rafforzare le azioni di contrasto e prevenzione, nel nostro Paese e a livello globale. Ci auguriamo finalmente che il prossimo Parlamento introduca nel Codice penale italiano i delitti contro l’ambiente e si impegni di ricostituire la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie. Ma è altrettanto importante estendere a tutti i Paesi dell’Unione Europea il delitto di traffico illecito di rifiuti, che ha consentito in Italia di svelare rotte e interessi di queste organizzazioni criminali”.
“Dobbiamo armonizzare ancora di più tutte le componenti istituzionali del Paese impegnate nel contrasto verso questo tipo di illeciti – ha dichiarato il presidente di PolieCo, Enrico Bobbio – e, allo stesso tempo, perseguire l’obiettivo di una sburocratizzazione delle norme che regolano la gestione dei rifiuti, per favorire il riciclo di qualità Made in Italy, attraverso la “filiera corta” della gestione dei rifiuti. Solo in questo modo si possono evitare inutili traffici grazie ai quali, il più delle volte, si finisce per foraggiare le ecomafie e le imprese poco virtuose che, oltre a danneggiare l’ambiente e la salute dei cittadini (di tutti i Paesi), conseguono risultati economici al di fuori delle regole”.
“Compito e dovere principale dei Consorzi obbligatori per la gestione rifiuti – ha ricordato Claudia Salvestrini, direttore del Consorzio PolieCo – dovrebbe essere quello di monitorarne i flussi vigilando su tutte le fasi di gestione, compresa quella delicatissima dell’eventuale spedizione in Paesi esteri. Il tutto per garantire il rispetto delle regole. E’ questo da sempre l’impegno del Consorzio PolieCo, per la promozione massima della legalità nel settore del riciclo”.
“Delle 163 inchieste censite – ha sottolineato Antonio Pergolizzi, coordinatore dell‘Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente e curatore della ricerca - il 68% interessa merci contraffatte e specie protette, il 23% traffici illeciti di rifiuti e il 9% frodi agroalimentari. I traffici si sono mossi prevalentemente sulle cosiddette autostrade del mare, soprattutto per i grossi carichi e le lunghe distanze: è qui, secondo la Commissione Europea, che si muove l’81% dei business illegali mondiali. Per i carichi più piccoli e di alto valore aggiunto e per le tratte più brevi rimangono comunque allettanti i movimenti su strada o per via aerea”.
Complessivamente, i porti italiani figurano per 72 volte come punti di destinazione dei traffici e per 50 volte come aree di partenza. Ancona è quello in cui si registra il maggior numero di inchieste, seguito da Bari, Civitavecchia, Venezia, Napoli, Taranto, Gioia Tauro (Rc), La Spezia e Salerno.
Il paese più coinvolto nelle rotte illegali da e per l’Italia è la Cina, i cui porti sono stati individuati come punti di partenza o di arrivo di traffici illeciti ben 45 volte. Al secondo posto figura la Grecia (con 21 inchieste) seguita dall’Albania (8 inchieste), dall’area del Nord Africa, da quella del Medio Oriente e dalla Turchia (rispettivamente 6 inchieste).
I business illegali aumentano per tutte le tipologie di merci considerate nel dossier, di pari passo con la crescita costante dei commerci internazionali. Le esportazioni legali di rifiuti dai paesi UE verso paesi non UE, per esempio, secondo i dati Eurostat sono cresciute del 131% dal 2001 al 2009. I sequestri effettuati dall’Agenzia delle Dogane nei nostri porti dimostrano come nello stesso tempo siano cresciuti anche i traffici illeciti: 18.800 tonnellate di scarti destinati illegalmente all’estero negli ultimi due anni con un incremento del 35% circa rispetto al biennio 2008-2009. Solo nel 2012, il 59% delle esportazioni di Pfu, il 16,5% di rottami metallici e più del 14% di scarti plastici si sono rivelati fuori legge, quindi sequestrati, ai controlli delle dogane italiane.
Cresce anche il business delle merci contraffatte, secondo le valutazioni dell’Ocse che ha stimato per il 2009 un giro d’affari per i contraffattori di oltre 250 miliardi di dollari e una perdita di circa due milioni e mezzo di posti di lavoro. Sullo stesso trend i sequestri di animali vivi o parti di animali morti, protetti dalla Convenzione Cites sulle Specie a rischio di Estinzione e trafficati illegalmente. Nel complesso, nel 2011 il Corpo Forestale dello Stato ha accertato 189 reati, con 132 persone denunciate all’autorità giudiziaria, 237 sequestri e 209 illeciti amministrativi per un importo notificato pari a 1.452.060,34 di euro.
Nel quadro dei mercati criminali mondiali, e soprattutto per il commercio illecito di specie protette provenienti da aree povere del mondo, gioca un ruolo importante e si alimenta la corruzione, stimata in Italia dalla Corte dei Conti intorno ai 60 miliardi di euro l’anno mentre a livello mondiale la Banca Mondiale parla di mille miliardi di dollari di tangenti. Un ruolo rilevante spetta, inoltre, alle mafie transnazionali, in particolare le triadi cinesi, la yakuza giapponese, la camorra napoletana e la mafia russa; con un ruolo sempre maggiore in Italia della ‘ndrangheta.
Per rafforzare l’efficacia dell’azione di contrasto e di prevenzione per tutte le filiere dei mercati illegali, Legambiente e Polieco avanzano 10 proposte, tra le quali c’è quella di “rafforzare e semplificare il quadro sanzionatorio in materia di tutela penale dell’ambiente attraverso l’introduzione nel Codice penale italiano di specifici delitti (dall’inquinamento al disastro ambientale) sulla falsariga di quanto previsto dalla direttiva comunitaria 2008/99/CE e da diversi disegni di legge d’iniziativa parlamentare“. Si propone poi di “ricostituire, anche nella prossima legislatura, la Commissione bicamerale di inchiesta sul Ciclo dei rifiuti e le attività illecite a esso connesse”, ”migliorare la collaborazione tra gli Stati, soprattutto in materia di controlli e prevenzione, rafforzando il ruolo degli organismi internazionali, sia europei (Europol, Eurojust) che internazionali (Interpol, Unicri)“, “costituire di un’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, come già esiste in molti Paesi europei”, “prevedere sanzioni più incisive per i criminali del cibo, come ritiro della licenza in caso di reiterazione del reato e un sistema di tutela penale ad hoc” e adottare “una norma che preveda una più ampia estensione dell’obbligatorietà di indicazione dell’origine dei prodotti (e delle materie prime prevalenti) in etichetta”.
Accanto a queste proposte, nell’Agenda per l’ambiente e la legalità presentata oggi sono previsti altri interventi legislativi. Tra questi, il disegno di legge sulla lotta all’abusivismo edilizio, per rendere più efficaci le norme di contrasto e l’iter delle demolizioni dei manufatti illegali; quello sulla lotta alla corruzione con le richieste contenute nella campagna lanciata da Libera “Riparte il futuro“; quello sulla bellezza del paesaggio, per fermare il consumo di suolo e riqualificare il territorio nazionale.