La commissione Von der Leyen presenta il nuovo “Green Deal” europeo, tra ambizione e grandi incertezze
Mercoledì 11 dicembre il Collegio dei Commissari dell’Unione Europea ha adottato il Green New Deal for Europe, che la neo Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen aveva già delineato nei suoi orientamenti politici, impegnandosi a presentarlo nei primi 100 giorni del proprio mandato.
Il Green Deal è un piano che ha l’ambizione di rendere l’Europa “il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050″, stimolando, al tempo stesso, l’economia, migliorando la salute e la qualità della vita delle persone e avendo cura delle risorse naturali.
“Gli europei vogliono un’azione concreta sui cambiamenti climatici e vogliono che l’Europa sia all’avanguardia. Diventare il primo continente neutro dal punto di vista climatico al mondo è la più grande sfida e opportunità dei nostri tempi“, precisano dalla Commissione.
Secondo le stime “interne” servirebbero però almeno 260 miliardi di euro l’anno fino al 2030 – solo per gli obiettivi già fissati, senza contare quelli nuovi – e la Corte dei Conti europea di euro ne ha calcolati 1.115 miliardi all’anno. Dove trovare le risorse necessarie? I critici parlano di coinvolgimento massiccio del settore finanziario privato, in quanto il bilancio europeo non sarebbe in grado di far fronte ad una tale massa di investimenti.
I negoziati con gli Stati membri si preannunciano in ogni caso complessi, soprattutto con i Paesi dell’Est, le cui economie dipendono ancora significativamente dal carbone.
Suscita interesse l’ipotesi di una “carbon border tax“, una sorta di dazio per le merci in ingresso da quei paesi extra-UE che non essendo soggetti a target di riduzione delle emissioni potrebbero praticare prezzi più bassi distorcendo la concorrenza. Cemento e acciaio potrebbero essere tra i primi prodotti ad essere tassati.
Ci sarebbe poi l’estensione del sistema ETS (Emission Trading System, da anni in fase di ripensamento) anche al settore del trasporto marittimo oltre che aereo. E qualcuno ipotizza una forma di prelievo anche sul sistema autostradale, per incentivare altre forme di mobilità più sostenibili.
Altri interventi vedranno sicuramente protagonista l’economia circolare, da rafforzare, e la riforestazione del continente, per contribuire alla pulizia dell’aria, uno dei temi caldi in ambito salute sollevati da tempo anche dall’OMS.
Il Green Deal della Commissione, oltre alle trattative con gli Stati, dovrà tuttavia confrontarsi anche con i movimenti ambientalisti, che sempre più stanno acquisendo capacità di influenzare l’opinione pubblica. I più critici da tempo sostengono infatti che sia il concetto stesso di crescita (ben presente nel piano Von der Leyen) ad essere incompatibile con una seria transizione ecologica.
A questo proposito, un recente articolo di Simon Kuper sul Financial Times (rilanciato in Italia dal Movimento per la Decrescita Felice, che ne ha diffuso la traduzione) riassume bene la questione del “mito della crescita verde“: “Ecco la storia sul clima – scrive Kuper – che noi liberali amiamo raccontarci: una volta che ci saremo sbarazzati dei dinosauri della politica come Trump, affronteremo la lobby dei combustibili fossili e le avide corporations e voteremo per un nuovo accordo verde. Questo accordo finanzierà industrie pulite in rapida crescita: impianti solari ed eolici, autoveicoli elettrici, abbigliamento sostenibile: possiamo rendere verdi le nostre società e continuare a consumare. Questa storia viene definita crescita verde. Sfortunatamente la crescita verde probabilmente non esiste – almeno per i prossimi venti anni, durante i quali dovremo tagliare la maggior parte delle nostre emissioni di anidride carbonica per mantenere il pianeta abitabile. La nostra generazione deve scegliere: possiamo essere verdi, o possiamo avere la crescita, ma non possiamo avere entrambe le cose insieme”.
Intanto, mentre il dibattito e il confronto europeo proseguiranno, a marzo la Commissione dovrà presentare il primo step del Green New Deal: la normativa sul taglio delle emissioni, con un taglio intermedio al 2030 del 50%, in attesa di raggiungere la “neutralità climatica” (100% di taglio delle emissioni climalteranti) al 2050.
La sfida si preannuncia impegnativa e il risultato finale, al di là degli entusiasmi per il “cambio di passo”, tutt’altro che certo.
Redazione Greenews.info