Jellyfish Barge: la serra galleggiante per la sicurezza alimentare
Per produrre insalata, pomodori e cavoli basta un fiume, o il mare. Pnat, spin off dell’università di Firenze nato all’inizio del 2014, ha lanciato un anno fa Jellyfish Barge, una serra modulare galleggiante e completamente autonoma dal punto di vista energetico, che ha già ricevuto diversi riconoscimenti anche a livello internazionale. Costruita con materiali a basso costo, è in grado di dissalare l’acqua salsa o depurare quella dolce e garantire la produzione di circa 1.000 insalate ogni mese con la tecnica della coltivazione idroponica. “L’abbiamo ideata pensando al problema della sicurezza alimentare: l’obiettivo è fornire a comunità che vivono in zone aride o a carenza di acqua potabile, ma magari vicino a un fiume o al mare, la possibilità di autoprodursi il cibo”, spiega Camilla Pandolfi, agronoma di Pnat.
Un progetto unico nel suo genere, che sta attirando l’interesse di mezzo mondo, dagli Stati Uniti, che lo hanno ospitato nel proprio padiglione a Expo, al Sudest asiatico. “Ci sono on line ricostruzioni 3D di progetti che possono sembrare simili, pensati per installazioni al largo dalla costa. In realtà, però, si tratta di strutture grandi e costose: investimenti che difficilmente riuscirebbero a ripagarsi con la sola produzione di ortaggi”. Il team di Pnat, guidato dal direttore del Laboratorio di neurobiologia vegetale dell’università di Firenze Stefano Mancuso, al contrario, ha progettato Jellyfish Barge con l’idea di mantenere dimensioni ridotte e bassi costi: un modulo formato da una base di legno di circa 70 metri quadrati, che galleggia su fusti di plastica riciclati, e da una serra in vetro e legno. Intorno, ci sono i pannelli solari, che forniscono la poca energia necessaria, e le unità di trattamento dell’acqua.
“Nel caso la serra sia installata sul mare, ci sono dei dissalatori solari: l’acqua con il calore del sole evapora e si separa dal sale; il vapore viene poi raccolto e attraverso la condensazione si ottiene acqua dolce. In caso invece di fiumi, possiamo installare degli impianti che depurano l’acqua da contaminazioni batteriche e impurità”. Ecco come funziona: “Il sistema preleva l’acqua e la tratta. Una centralina automatizzata aggiunge all’acqua i nutrienti necessari per la coltivazione e, attraverso un sistema di pompe alimentate con l’energia fotovoltaica, la invia alle canaline che la portano alle piante”. Una serie di webcam consente di controllare le piante anche a distanza, mentre dei sensori monitorano i parametri ambientali principali. “Stiamo progettando altri sensori per gli impianti, che possano segnalarci eventuali malfunzionamenti dei pannelli solari o del sistema di irrigazione”, continua Camilla Pandolfi.
Dopo una prima installazione a Pisa, Jellyfish Barge è stata presentata ad Expo e, grazie al supporto di Milano Cucina e Seeds & Chips, è stata posizionata nella Darsena di Milano, dove rimarrà fino al 31 ottobre. “Stiamo prendendo accordi per la sua destinazione successiva e stiamo già lavorando per future installazioni: puntiamo su città costiere, come New York o Copenaghen, in cui ci sia una sensibilità verso le produzioni a km zero e lo urban farming. Jellyfish Barge potrebbe soddisfare il fabbisogno di un piccolo supermarket, un ristorante o un hotel”.
Il prototipo è stato realizzato in collaborazione con l’università di Firenze, e finanziato dall’ateneo attraverso fondi della Regione Toscana e della Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze. In questi mesi, il progetto si è piazzato al secondo posto nel concorso “Ideas4Change”, indetto dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE), e ha vinto il premio “Idee innovative e tecnologie per l’agribusiness”, promosso da CNR e Onu. “Per il futuro – conclude Camilla Pandolfi – puntiamo a continuare l’ottimizzazione di Jellyfish Barge, ma ci occuperemo anche di veicolare sul mercato prodotti che sono il risultato delle ricerche del Linv, il Laboratorio di neurobiologia vegetale dell’università di Firenze”.
Veronica Ulivieri