Orlando ci riprova. Il Cammino Aragonese verso Santiago de Compostela
Bisognerebbe aggiornare il detto tutte le strade portano a Roma in tutte le strade portano a Santiago.
Complice l’antica e fitta rete stradale imperiale, ancora oggi sono tante e diverse le rotte compostelane. Non sazio del mio primo Cammino di Santiago, ho percorso una variante pirenaica che prende il nome di Cammino Aragonese. Qui aleggia lo spirito autentico di un pellegrinaggio millenario.
La rotte che in epoca medioevale portavano i pellegrini di tutta Europa a Santiago di Compostela presso la tomba dell’apostolo Giacomo il Maggiore, potevano attraversare la Francia da ogni latitudine prima di raggiungere la Spagna. I popoli provenienti dall’Europa mediterranea (italiani in primis) percorrevano a piedi la via tolosana che, passando per Arles, Montpellier e Toulouse scavalcava i Pirenei dal valico più meridionale: l’impervio passo del Somport, aperto dai romani e chiamato Sommus Portus.
Ancora oggi dal passo del Somport (1600 m) inizia convenzionalmente il Camino Aragonés. Complesso da raggiungere con ogni mezzo di trasporto (più di quanto sia arrivare alla porta di San Giacomo più a Nord, presso Saint Jean Pied de Port), è generalmente meno frequentato del (gemello) Camino francés.
La regione d’Aragona sarà lo scenario naturale del nostro viaggio a piedi. Direzione Nord-Ovest, destinazione Puente la Reina, alla confluenza con il Cammino francese in 6 giorni e 195 km di marcia. Il segnavia in cima al passo del Somport indica 858 km a Santiago de Compostela!
Nella luce incerta del tramonto, il rifugio Aysa sembra una locanda alla fine del mondo o il faro su un’isola delle Shetland; il profilo dei Pirenei un’onda gigantesca in continua formazione. Dentro i locali del rifugio, mi mettono al tavolo con gli unici due (!) ospiti della locanda alla fine del mondo. Pellegrini naturalmente. Poiché il Cammino è dove s’incontrano e si smussano gli opposti, miei commensali sono un anziano signore giapponese che parla un inglese patibolare e soffia in un’armonica a bocca tutti gli inni nazionali del mondo (per farsi accogliere in ogni dove, dice) e un giovanissimo altoatesino il cui italiano è molto peggio dell’inglese dell’altro. Detto per inciso, adoro quelli che si chiudono la porta di casa alle spalle e partono per Santiago a piedi, senza prendere un solo mezzo di avvicinamento. Ecco, il nostro altoatesino è così. Ha preso e si è messo a camminare da casa. Sono già due mesi che è in marcia.
Come una sposa che sta per andare all’altare o un soldato alla guerra, non senti più le gambe. E’ l’attimo che precede il grande passo, l’inizio. Perché, a conti fatti, l’inizio sei tu, diverso ogni volta. Solo allora il Cammino principia a vivere davvero.
La prima tappa da Somport a Jaca mette in fila più di 32 chilometri, per un graduale dislivello di 820 metri. La discesa pirenaica a rotta di collo tra balze, bossi, ponti, conche glaciali, fantasmi d’impianti sciistici e le rovine medioevali dell’hospital de Santa Cecilia vale già tutta la complicazione del viaggio. Fino a Villanua sentieri e carrarecce hanno seguito il corso del fiume Aragòn. In mezza giornata di marcia sei già calato in un tema invariante: l’aragones è un cammino fluviale. Tutta la rotta aragonese segue il corso del suo fiume e da questo deriva il suo umore, fatto di un lento e paziente trascorrere.
Arrivo “sulle gambe” a Jaca, prima capitale del Regno di Aragona ed unica vera cittadina di questo pellegrinaggio, introdotta in pompa magna dalla ciudadela (eretta nel 1592): fortificazione militare a forma pentagonale. Ed ecco un altro tema ricorrente: paesi arroccati, contrafforti, colline rocciose con postazioni-vedette. Tutto tradisce l’ossessione militare della Corona d’Aragona, il Regno che perdurò per quasi sette secoli, dalla Reconquista alla Guerra di successione spagnola e che si estese fino alla Sardegna, a Napoli e alla Sicilia. L’aragones è un cammino di guardia. Anzi, è il cammino della Corona.
La tappa da Jaca ad Arrès comincia con l’ingresso nella valle del Berdun e i suoi sentieri agricoli, sempre lungo il corso del rio Aragon. Nelle anse tra il fiume e il sentiero, le orme più evidenti dei pellegrini di ogni tempo: pietre e pietre accampate l’una sull’altra, a creare piccoli dolmen o nuraghi spontanei. Ogni pietra un’orazione.
La collina di Arrés (700 m) spalanca improvvisa la magia della veduta sul borgo omonimo. Il villaggio arroccato è quasi fantasma ma resiste anche grazie alla passaggio dei pellegrini. Ci sono un bar e poche case. Ed ecco il tema delle vestigia. Borghi abbandonati (ancora più fantasma di Arres il borgo di Ruesta, antico villaggio fortificato, totalmente disabitato), strutture in disuso, siti di silenzio. Per tutta la rotta aragonese si cammina su un filo, in bilico tra abbandono e reminiscenze originarie. L’aragones è un cammino di vestigia e silenzio.
Tra Arrés, Artieda e Sanguesa il cammino segue per campi, coltivi e altopiani di particolarissime rocce erose. Ma di quante strade è fatto il Cammino? Fino a qui sentieri di montagna, brevi mulattiere, sentieri di bosco, strade d’asfalto, tratturi, strade di campagna, strade di terra battuta. Dopo la pineta sulla cima della Sierra de Pena Musera, iniziano i resti originali di quella che fu un’antica strada romana, fatta di bellissimi lastroni di basalto ingialliti dalla terra argillosa. Dopo il villaggio di Undues de Lerda siamo già in Navarra e prima di Monreal la strada riflette il bianco abbagliante del sole.
Gli ultimi chilometri prima di Puente la Reina, dove si congiungeranno il cammino aragonese e il cammino francese, custodiscono il gioiello templare dell’ Ermita de Santa Maria de Eunate, protetta dalla campagna circostante. Fu costruita nel XII Secolo, sul disegno originale della pianta del tempio di Gerusalemme. Sull’uscio dell’eremo un’iscrizione dice più o meno: «Queste pietre sono state poste per il silenzio. Questo spazio è per la riflessione. Questo luogo è per la preghiera. Possa tu non solo spalancare gli occhi come un turista o tutti i tuoi sensi come un pellegrino. Possa anche tu aprire il cuore come uomo o donna che cerca.»
Orlando Manfredi