“Patagonia controvento”: in bici sulla Carretera cilena, prima dell’asfalto
Un viaggio a pedali lungo il Camino Austral e la Terra del Fuoco. “Patagonia Controvento” del giornalista italo-svizzero Max Mauro, è stato pubblicato per la prima volta nel 2006 e da poco ristampato dalla casa editrice Ediciclo. Il libro, che rappresenta uno dei titoli più noti di Ediciclo, è un affascinante reportage di viaggio, lungo gli oltre 1.200 chilometri di carretera che attraversano il Cile. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi un estratto del capitolo “Che farsene dell’asfalto?“, che racconta il tragitto su due ruote da Puerto Cardenas a Villa Santa Lucia, Cile centrale. Nel passo l’autore riflette sul progetto del governo di asfaltare la Carretera Austral e su come questo porterà sicuramente degli enormi cambiamenti per gli abitanti dei villaggi situati lungo la strada. Arriveranno la ricchezza e molti turisti, secondo un modello di sviluppo che però ha ben poco di sostenibile.
Dopo il pranzo esco a fare due passi e vengo avvicinato dal responsabile della squadra di operai. È un giovane ingegnere che ha l’aspetto di un cittadino e che avevo notato per la sua diversità rispetto al resto del gruppo. Occhiali da sole, jeans e mocassini, faccio fatica a immaginarmelo in mezzo al pantano dei cantieri che ho visto lungo la strada, ma è domenica,e forse questo spiega qualcosa. Viene da una città del Cile centrale e si trova qui per coordinare i lavori di sistemazione dei numerosi ponti della Carretera. Mi dice di aver da poco visto “Pinocchio” di Benigni al cinema, a Santiago, che l’Italia è bella e un giorno vorrebbe visitarla assieme alla moglie. Mi chiede se mi piace il Cile e come mai ci vengono pochi turisti italiani. Non ho una risposta per la seconda domanda, io stesso di questo paese ne sapevo poco e le persone che conoscevo che avevano viaggiato in Sudamerica erano andate in Argentina (magari a visitare lontani parenti), in Perù, in Ecuador e ovviamente in Brasile. Del Cile nessuna testimonianza.
Parlando con Hector ho modo di confrontarmi con l’orgoglio con il quale generalmente i cileni parlano del loro paese a un europeo e di cui avevo letto da qualche parte. «In questo momento il Cile è il miglior paese del Sudamerica», afferma come a voler promuovere il turismo nella sua patria. «L’economia va bene e il governo è stabile. La gran parte degli altri paesi del continente ha problemi politici, colpi di stato e manifestazioni violente, mentre da noi queste cose non ci sono». Raccolgo la sua analisi e non avanzo dubbi, non avendo molti elementi per controbattere. D’altra parte all’apparenza le cose stanno proprio così, sebbene tutto il mondo sia ancora indignato per il mancato processo a Pinochet. Più tardi, vedendo i notiziari trasmessi dalla televisione cilena assieme alla squadra di operai, ricevo una raffigurazione della realtà speculare a quella del mio volenteroso prosseno.
Mentre in Medio Oriente il conflitto israelo-palestinese non accenna a scemare e dagli Stati Uniti si fanno avanti nuove minacce di guerra contro nemici vecchi e nuovi, la tv pubblica cilena mette in primo piano la seguente notizia, trattata con vari servizi per molti minuti: la finale del campionato di calcio. Una nota: in Cile il campionato di calcio segue le modalità dei campionati degli sport statunitensi, con tanto di play-off e gran finale tipo Superbowl. È uno dei piccoli segnalidi transfert culturale nordamericano in questo paese, dove sono tuttavia diffusi i sentimenti anti Usa, come mi ha confermato la scritta a pennarello sullo zainetto di un ragazzo vista a Puerto Montt: “Osama I love you”. Le altre notizie proposte dalla tv di Stato riguardano gli esami di ammissione all’università, con interviste a giovani e nervosi candidati e al preside di un’università privata con il nome in inglese, due iniziative del presidente della Repubblica, i preparativi per il Natale e altri fatti di cronaca nazionale. Nulla di negativo o problematico,comunque. Su quanto avviene all’estero c’è spazio solo per un servizio sulle manifestazioni di piazza che giungono dal Venezuela, con l’inviato a riferire con pathos eccitato delle sparatorie tra civili. Uno stacco netto con la conciliante immagine del Cile appena data. Infine, trova spazio una breve nota sull’impegno del governo statunitense contro il terrorismo internazionale. Per gli esteri, è tutto qui. Visto quanto trasmette la tv, le semplificazioni del giovane ingegnere di città non mi stupiscono più di tanto.
La conversazione con Hector è utile per capire meglio molte cose. Gli chiedo conferma del progetto governativo di asfaltatura della Carretera. Mi conferma che entro il 2010 praticamente tutti i milleduecento chilometri della strada dovrebbero essere coperti d’asfalto. Attualmente ne sono stati asfaltati non più di duecento, quasi tutti attorno alla capitale provinciale Coyhaique. I costi sono molto alti, mi spiega, ma per dare sviluppo alla zona non c’è alternativa. Come a marcare il lavoro svolto in questo settore, sottolinea che ogni anno, in ognuna delle tredici regioni che formano il Cile, vengono aggiunti venti chilometri di strade asfaltate.
Immagino che a un geometra dell’Anas questi dati possano fare un certo effetto, ma a me non dicono nulla. Beata ignoranza. Una cosa, forse, in effetti la dicono. Con le strade arriva il progresso, trasporti più veloci, puntuali, e si comincerà a parlar di forniture “just in-time” o “on-demand” come nell’economia spicciola ci hanno insegnato gli esperti del dettaglio consumista. Le persone che possono permettersi di comprare un’auto potranno optare per una berlina invece che una jeep o un robusto pick-up e con quella potranno recarsi in mattinata da un villaggio all’altro anche solo per comprare una batteria dell’orologio. La strada porterà molti turisti, attratti dalla verginità dei luoghi ma soprattutto dalla nuova comoda via di comunicazione. Serviranno alberghi, magari con piscine e campi da golf, chissà, e ovviamente una miriade di souvenir, sennò come si fa a ricordarsi di esserci venuti, quaggiù. Arriverà lo sviluppo e, almeno per qualcuno, la ricchezza. Un posto così trasformato non avrà più la poesia e la verginità che vi trovo oggi. Non è questo il senso del turismo,in fondo?
Mentre mi astraggo in questi astrusi ragionamenti, sulla strada scorgo un’auto malridotta caricata fuor di misura. Alla guida c’è El Pacifico che, chiusa la cucina e lasciata la donna senza età a vegliare le stoviglie, ha fatto salire sulla sua vettura figlie, moglie, cane – proprio lo stesso della foto mostratami da Pia – e una ragazza coetanea della figlia più grande. L’auto si allontana sobbalzando, prende una pozzanghera che sembra un laghetto e per un attimo temo che si ribalti. Le ragazze ridono, una delle due tiene in mano una bottiglia di birra, sono felici. Che se ne faranno dell’asfalto?
Max Mauro*
* Nato in Svizzera, figlio di emigranti friulani. Giornalista e scrittore, ha collaborato con Diario e altre testate. Ha fatto il giornalista in Venezuela e raccolto storie di migranti in Germania e Sudafrica. Attualmente vive a Southampton dove è professore associato alla facoltà di giornalismo sportivo. Con “La mia casa è dove sono felice” (Kappa vu, 2005), ha vinto il Premio “Città di Borgotaro-Raccontare l’emigrazione”. “Patagonia controvento” (Ediciclo 2006) ha ricevuto la menzione speciale al premio “Albatros” per la letteratura di viaggio. Nel 2009 ha pubblicato “La bici sopra Berlino” per la collana Ciclopolis di Ediciclo.