Val del Moro, le colline piemontesi che sembrano toscana
«Qualcosa nella mia vita deve cambiare. E’ l’unica cosa che so» – confessa l’amico. E chi ascolta pensa di essersi detto le stesse cose qualche tempo prima, mentre decideva di partire a piedi verso le coste atlantiche della Galizia, in un viaggio di mille chilometri.
Galleggiamo su tappeti di foglie – Fred ed io – e sembriamo figurine di Giacometti, alto alto l’uno e magro magro l’altro, filiformi sul cuore della terra.
I crinali delle colline sono il quadro autunnale perfetto, con la terra umida rivolta, l’odore del legno, e una striscia di fumo che scappa da qualche rado comignolo. L’aspetto avvicina incredibilmente queste colline a quelle toscane: dolci, sinuose e brune. Ma c’è un inganno. Non siamo lungo le crete senesi o in Val d’Elsa: le colline della Val del Moro si nascondono alle porte del Monferrato, nella zona del chierese tra Arignano e Moriondo (To). In ogni caso, il paesaggio ideale per fare due passi con un amico e il bisogno condiviso di ascoltarsi e raccontarsi.
Ai piedi di Mombello di Torino, paesino arroccato cui si giunge dalla provinciale 119 per Castelnuovo Don Bosco, un sentiero campestre taglia longitudinalmente la Val del Moro attraverso coltivi di meliga, vigne e frutteti. Il segnavia suggerisce la direzione e i passaggi in prossimità delle cascine di Moia, Indiolo e Sant’Anna.
Seguiamo lo stradello che da asfalto si trasforma in manto erboso, con le case di Arignano in lontananza a ovest e l’imponente Castello di Moncucco a est, come una torre di guardia sulle brume. Poi un grande dosso chiude per un attimo la visuale. Un dosso chiamato l’ mond.
Ogni tanto, penso che camminare sia l’azione più concreta e rivelatrice del proprio posto nel mondo. Che si scopra il mondo camminando è un fatto. Ma mentre scopriamo un mondo nuovo, testiamo noi stessi. Consapevoli o no, mettiamo la nostra vita sul bilancino del passato, del presente e del futuro. E’ come stare su un dondolo.
«Non avevo considerato mai nemmeno l’ipotesi di dondolare. Certe volte la vita ti chiede di essere fermo e inamovibile, per non frantumarti in mille pezzi.»
In cima a l’ mond c’è la sorpresa che ogni cammino riserva, se opportunamente cullato. Sul cucuzzolo del dosso una pieve di mattoni, come una piccola arca nel mare scofinato della meliga. E’ la Cappella di San Lorenzo di Barbaso, il cui abside si annuncia alla vista in nitido stile romanico del XII Secolo. Davanti all’ingresso della cappella stabiliamo il nostro bivacco. Chissà se nel passato le traiettorie dei viandanti e dei pellegrini hanno cercato il rifugio di questa pieve solitaria.
«L’effetto non doveva essere così diverso da oggi. Siamo a un tiro di schioppo da Torino e sembra di stare in un altro mondo, in un’altra era.»
Poi il trauma olfattivo di uno sparaconcime rende l’aria irrespirabile (beata ingenuità la nostra). Dietro al trattore, un ragazzino a bordo della sua bmx.
«Volete vedere dov’è casa mia?»
«Dai, facci vedere».
«E’ laggiù» e indica una bella cascina bianca sopra la collina di fronte. «Invece qua ci sono i nostri vicini. Ma mi stanno sulle palle e vengo sempre a dare fastidio». Fine dell’idillio campestre.
Dal belvedere mozzafiato del Castello di Moncucco, lasciamo cadere le note e la parole di Lean on me di Bill Whiters, che ci perdonerà dicendo: «amico, appogiati a me». Abbandonati i bastoni da marcia contro il colonnato antistante alla cappella di posta del paese, ripercorriamo i passi verso Mombello, con accenti silenziosi , dopo una giornata piena di parole. Ora è tempo che si depositino. Uno stormo di centinaia di passeri si libra in cielo in una perfetta danza sincronizzata. «Da lassù, siamo veramente un granello di sabbia. Lo sto capendo adesso, mentre cammino.»
Se ogni posto è il cuore della terra, bisognerà riservare al nostro pianeta le stesse cure che dedichiamo a un’amicizia. Potrebbe essere l’equazione per un futuro migliore.
Orlando Manfredi