A piedi sul Musinè, la “montagna incantata” delle mille rivendicazioni
Proseguono le “divagazioni cantautorali di mobilità elementare” di Orlando Manfredi, in arte Duemanosinistra, alla
ricerca della densità di significato, umano e ambientale, nelle città e nei luoghi che ci circondano. Dopo Palermo e il monte Pellegrino, i piedi, lo zaino e la chitarra di Orlando insieme ad un occasionale compagno di viaggio, toccano la vetta dell’enigmatico Musinè.
Povero “monte asinello” conteso tra esoteristi, paleo-complottisti, fanta-archeologi, ufologi, antagonisti No Tav e rampolli della Giovane Italia: ognuno a farne strumento di battaglia, scenario di rivelazioni occulte, antenna di sante energie o rifugio d’anime dannate.
Qualcosa di eccezionale l’avrà pure, se nel corso dei secoli ha generato tante credenze da diventare riferimento preferito degli U.F.O. o, addirittura, una base aliena! Intanto, le uniche a rivendicare uno ius soli a ragion veduta sono le vipere, che pullulano davvero sulle rocce del Musinè. Ma ora ci si deve mettere anche un cantautore con problemi d’identità a profanare la montagna incantata?
Ed eccomi qui, “il miglior nemico dell’Uomo, tutto fumo e Telefono Casa”, direttamente dai versi di una canzone che mi consegnerà agli extraterrestri (non trovandosi una distribuzione sulla Terra, almeno su Marte…)! Sono pronto ad ascendere a piedi la vetta del Musinè, in cerca di U.F.O., accompagnato in via eccezionale dal talentuoso Zavorra, alpinista di vita e di fatto, e dalla fedele Lilliput, chitarrina da viaggio e strumento indispensabile di baratto spirituale.
Il monte Musinè, primo rilievo delle Alpi Graie guardando da Torino, la montagna più vicina alla città, se ne sta all’inizio della Val di Susa. E’ la più orientale delle creste che separano il Bacino della Dora Riparia da quello della Stura di Lanzo e rientra, come “Monte Musine’ e laghi di Caselette”, nella rete europea Natura 2000, in quanto Sito di Interesse Comunitario (SIC).
Il Musinè lo si può vedere quasi sempre dalla tangenziale o nelle aree più sgombre da palazzoni del capoluogo piemontese, nonostante i suoi modesti 1.150 metri. Ma già da un primo colpo d’occhio, appare singolare: è una specie di paradossale montagna di pianura.
E poi la forma del Musine’, piramidale. Calma, seguaci degli “Antichi Astronauti” e del “paleocontatto”! Fin qui nessuna prova indiziaria di contatti alieni. Piuttosto il vestito geologico del monte pone non pochi interrogativi: a valle delle sue rampe, fino a circa 700 metri, si puo’ apprezzare una vegetazione d’alto fusto, composta prevalentemente da pini. Poi il monticello si desertifica improvvisamente, ostendendo una cresta di rocche, piccole gole e terra rossastro-ferrosa.
Sembra che i corpi della forestale abbiano provato a piu’ riprese a reimpiantare diversi tipi di vegetazione, senza riuscire a cavarne un ragno dal buco.
E allora via: partenza fantozziana dal campo di calcio di Caselette, piccolo comune della Comunità Montana della ValdiSusa messo lì, su un rialzo morenico ai piedi del Musinè. Da qui parte la pista tagliafuoco. Sì anche il fuoco e’ parte integrante della mitologia del Musine’, che e’ certamente il monte più universalmente caro alla pietà popolare di tutto l’arco alpino, insieme con il Rocciamelone. La leggenda vuole che la montagna valsusina sia stata teatro del castigo di Erode, condannato a percorrerlo riarso su un carro di fuoco, in seguito alla strage degli Innocenti. Secondo i misteri popolari, starebbe a spiegare la “pelata” del monte.
Dunque in illo tempore appare gia’ segnato il cammino leggendario che porta a fenomeni legati alla presenza di fuochi fatui (strani se in probabile assenza di organismi in decomposizione) e di “fulmini globulari” (scariche elettriche provenienti dal cielo, in assenza di agenti atmosferici accertati).
Dunque c’eravamo io e Zavorra in cammino sulla mulattiera che, lungo le tappe della via crucis, conduce a Sant’Abaco, a quota 535. Il Santuario se ne sta aggraziato su un piccolissimo pianoro che spezza la salita. Ma noi dobbiamo proseguire verso il sente’ dla costa. Insomma, da qui si procede in cresta, versante sud est, fino alla vetta. Data l’esposizione costante al sole, il consiglio spassionato di Zavorra e’ “niente pellegrinaggi extraterrestri estivi, per evitare caldazza e vipere”.
La giornata e’ quasi irripetibile, fresca ma soleggiata, con le candide vestigia della prima neve di Dicembre vicino alla cima.
Prima di giungere alla cresta del monte, dobbiamo attraversare il vasto e lungo Piano Domini, da cui si osservano la città e la vitaccia già da tutta un’altra prospettiva. La visuale e’ completamente tersa, ad abbracciare la Valle e giù, verso Caselette e i suoi laghi. Non altrettanto in direzione Torino. Senza una nuvola, il cielo su Torino appare come una striscia di caligine, placidamente adagiato su “polveri” e scarichi.
Dopo che si e’ oltrepassata la macchia boschiva a mezz’altezza, il faro d’orientamento e’ – impossibile sbagliarsi – l’enorme croce bianca eretta sulla cima del Musine’. Risale al 1901 e celebra l’apparizione al re Costantino di una croce di fuoco recante la scritta “in hoc signo vinces”. E’ lei la bussola per arrivare alla vetta.
Ed ecco il tratto lunare e misterioso dell’ascesa al monte asinello. Lungo il suo dorso bruciato, sopra la sua schiena spelacchiata, calpestiamo la terra rossa e di rame che sembra provenire direttamente da un’epoca in cui, stando agli studi dei geologi, oltre 50 milioni di anni fa il Musine’ fu un vulcano in attivita’. Questo spiegherebbe in parte l’enorme “bruciatura” quasi del tutto priva di vegetazione che da mezza costa raggiunge la cima. Manca solo la puzza di zolfo, e qualche fumata per essere davvero vicini ad una bocca di vulcano.
L’ultimo tratto di cresta riserva paesaggi d’aurora boreale, tra lampi di luce guizzante sulle curve di neve. Dopo due ore abbondanti, io, Zavorra e Lilliput tocchiamo la vetta, davanti all’imponente crocefisso di cemento. Dalla cima il panorama e’ traslucido e la posizione invidiabile: una comoda e fresca platea davanti alla corona alpina: a sud-ovest il re dei monti, il Monviso e il monte Aquila, e l’Orsiera. A nord il Nible’ e il Rocciamelone, ad est la Ciamarella e il Gruppo del Gran Paradiso, completamente vestiti a bianco. Impeccabili.
Vulcano, piramide, base di contatti alieni, monte delle streghe, luogo di devozione e divinazione. Le mille facce del monte asinello hanno trovato simpatie anche negli extraterrestri, stando a recenti cronache e a presunti reperti che proverebbero il “contatto” antico tra civiltà pastorali e forme di vita aliena. Sembra che gli accadimenti si concentrino solitamente attorno all’8 di Dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione. Non dirò la mia data di nascita ma e’ chiaro che ce n’e’ abbastanza per creare una nuova religione, la più stravagante di sempre. Ma dopo tutto questo, non vi pare legittimo che il monte asinello abbia scalciato, dato colpi di coda, puntato i piedi, con qualche sbuffata d’inferno, ogni tanto?
Playlist:
Life on Mars di David Bowie, 1971
Starman di Davide Bowie, 1972
Extraterrestre di Eugenio Finardi, 1977
Helter Skelter di The Beatles, 1968
Concerning the U.F.O. di Sufjan Stevens, 2005
Non è terrestre di Peter Kolosimo, Mursia, Milano, 1968
Astronavi sulla preistoria di Peter Kolosimo, Mursia, Milano, 1972