L’ombra del Climategate su Copenhagen
Lo scandalo noto come Climategate risale a fine novembre, quando dal server dell’Unità di Ricerca sul Clima della University of East Anglia, in Inghilterra, vengono rubati 13 anni di file. 1000 e-mail e 3000 documenti, dal 1996 al 2009, che insinuano il dubbio, tra gli scettici, che l’Istituto abbia manipolato i dati scientifici (utilizzati sia dall’Intergovernmental Panel on Climate Change che dal premio Nobel Al Gore) per far apparire il Global Warming un fenomeno più allarmante di quanto non sarebbe in realtà.
Attacchi e smentite sono rimbalzati, nei giorni scorsi, da un giornale all’altro senza tregua. Lo stesso Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC, il 4 dicembre scorso ha dichiarato: “Non vogliamo nascondere nulla sotto il tappeto. Questo è un problema serio e indagheremo a fondo” anche se, ha rassicurato, “i risultati delle ricerche riconosciute dall’IPCC fanno capo a fonti diversificate. Sarebbe dunque impossibile, per un solo gruppo di ricercatori, manipolare le realtà scientifiche riconosciute”. Sulla stessa linea le dichiarazioni del Segretario Generale Nazioni Unite Ban Ki-Moon, per il quale l’episodio non avrebbe danneggiato in alcun modo il messaggio scientifico di base.
I primi dubbi circa il potenziale effetto negativo della vicenda sono emersi dal Negoziatore Capo sul clima dell’Arabia Saudita Mohammad al-Sabban che, ai microfoni di BBC news, ha ricordato come l’incidente presenti tutti i requisiti per registrare un enorme impatto negativo su Copenhagen. Secondo il negoziatore saudita addirittura, “dai dettagli dello scandalo emerge che non vi sia alcuna relazione tra le attività umane e il cambiamento climatico”. Una conclusione pesante che fa eco alle note obiezioni del Ministro Indiano Jarain Ramesh sull’origine antropica del riscaldamento globale, riconosciuta dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica.
“Queste rivelazioni giustificano gli scettici?” si chiede il giornalista del The Guardian George Monbiot. Forse no, ma vale la pena notare come Al Gore abbia misteriosamente annullato, senza troppe spiegazioni, la propria partecipazione alla conferenza stampa organizzata dal Gruppo danese “Berlingske Media”, in programma a Copenhagen il 16 dicembre prossim, per la quale erano già stati venduti 3000 biglietti (di cui alcuni inclusivi di foto insieme all’ex candidato alla Casa Bianca per 1209 $). L’ufficio stampa dell’organizzazione si è difeso dicendo di “non conoscere le precise ragioni della cancellazione”, rassicurando sul fatto che i biglietti saranno comunque rimborsati.
Una premura che non ha allontanato il sospetto di un imbarazzo di Gore circa la vicenda Climategate. Il suo film “An Inconvenient Truth”, che gli è valso due oscar e un Nobel, avrebbe infatti attinto ampiamente alle ricerche della University of East Anglia.
“Una verità scomoda” anche questa dunque. A causa della quale due membri dell’Academy of Motion Pictures Art and Sciences di Hollywood invocano addirittura il ritiro degli Oscar consegnati. Promuovere con un libro e poi con un documentario dati che alcuni accademici hanno ammesso di aver volontariamente alterato non sarebbe a parer loro ammissibile.
“La verità è che oggi c’è ancora chi crede che lo sbarco sulla Luna sia stato inventato al cinema.” ribatte Gore. “La differenza è che chi non crede allo sbarco sulla Luna non ha dietro i soldi degli inquinatori“.
Ilaria Burgassi