SOS amianto in Asia
E’ di questi giorni la notizia che la procura di Torino sta di nuovo indagando sul caso della cava d’amianto più grande d’Europa, chiusa negli anni ’90 a Balangero, in Piemonte, dove sembra ci siano altre 40 vittime di mesotelioma, di cui 25 gia’ morte. Anche in questo caso si cercano eventuali responsabilità dei due proprietari dell’Eternit, già condannati in primo grado, poco piu’ di un mese, a 16 anni di reclusione.
In Europa le conseguenze da esposizione prolungata all’asbesto e all’insieme di minerali del gruppo dei silicati, sono ormai tristemente note. Nel mondo ogni anno sono stimati 107.000 decessi dovuti a tumori causati da amianto. Eppure negli ultimi mesi del mio viaggio in Asia mi sono reso conto che nella maggiori parte dei paesi orientali la popolazione locale spesso non ha neanche una minima idea dei danni causati da questo materiale killer.
Ad oggi in Sri Lanka l’amianto continua ad essere il materiale piu’ utilizzato per la costruzione di tetti.
Negli ultimi anni si e’ passati dalle 12.000 tonnellate utilizzate nel 2000 alle 50.000 utilizzate nel 2010. Questo mercato della morte e’ in espansione continua, favorita dalla mancanza di consapevolezza pubblica e professionale: i medici locali non hanno gli strumenti (e forse nemmeno le conoscenze) per correlare i decessi all’amianto.
Ho scoperto che esistono principalmente due grandi famiglie di questo elemento: il serpentino (amianto bianco) e gli anfiboli (amianto grigio o blu). Nell’isola cingalese , come in molti altri paesi, l’amianto blu e’gia’ stato bandito nel 1997, ma il suo fratello letale continua rivestire impunemente le superfici delle tettoie, a discapito della popolazione e degli operatori nel settore dell’edilizia.
Anche la Thailandia importa amianto da oltre quarant’anni e, non a caso, due anni fa ha avuto il primo caso di mesotelioma. Nel 2009 ha importato circa 100.000 tonnellate, pari al 5% del consumo mondiale. Il 90% dell’amianto importato e’ utilizzato per tegole e tubi di cemento, il resto viene utilizzato per la produzione di freni e frizioni, piastrelle per pavimenti in vinile, guarnizioni e materiali termoisolanti. Il fenomeno è talmente sviluppato che chiunque visiti il Paese puo’ facilmente notare la moltitudine di tettoie grigie sulle case, gli hotel e le stazioni dei bus. Ma almeno qui il problema sembra aver attirato l’attenzione dell’ufficio nazionale della Commissione sulla Salute, che l’anno scorso ha presentato al Governo una risoluzione sul divieto di importazione di ogni tipo di amianto. Si attendono ancora gli sviluppi di questa richiesta, ma e’ stato un primo passo coraggioso: nonostante la minaccia degli operatori dei mercati legati all’amianto di aumentare drasticamente i prezzi in caso di proibizione, l’opinione pubblica e’ orientata in questa direzione.
In Laos non esiste invece alcune legge contro l’utilizzo di qualsivoglia tipologia di amianto. Neanche delle peggiori. La situazione sembra meno grave della Thailandia, a livello di diffusione, ma nel primo villaggio che si incontra entrando dalla frontiera Nord si possono notare, in tutta evidenza, tettoie in asbesto. Questo piccolo paese di 7 milioni di abitanti importa circa 5.000 tonnellate annue di amianto bianco, soprattutto da Russia e Kazakhistan. Un’ organizzazione umanitaria australiana, Apheda, si e’ interessata al caso del Laos scoprendo che ci sono principalmente 5 grandi fabbriche che utilizzano questo materiale conservandolo in sacchi mezzi aperti o rotti che ne favoriscono la fuoriuscita nell’aria, aumentando drasticamente il rischio per i contadini, che si arruolano per i lavori più umili nei periodi in cui non possono lavorare nei campi, durante le stagioni secche e quelle piovose.
Lo scorso dicembre la LFTU, organizzazione dei sindacati e lavoratori del Laos, ha organizzato una conferenza nazionale spiegando la situazione mondiale sull’utilizzo dell’amianto e presentando, ai Ministri del governo e agli operatori del settore, soluzioni e alternative suggerite da esperti australiani e vietnamiti.
Nei prossimi mesi il mio tour mi porterà anche in Cambogia, Vietnam, Cina e Sud Korea, che risultano avere gli stessi problemi dei vicini asiatici. Solo nel 2005 nel continente avveniva il consumo del 90% di amianto prodotto nel mondo, una quantità tale da confermare all’Asia il triste primato della zona della Terra con la maggiore esposizione della popolazione a questo minerale letale. Alcuni Paesi stanno cercando di reagire o almeno limitare i danni, ma la maggior parte, ad oggi, non ha ancora intrapreso alcuna iniziativa per arrestare questo mercato. Nei prossimi decenni le conseguenze di questa disinformazione saranno devastanti. Il primo passo, per cercare di migliorare questa drammatica situazione, e’ dunque diffondere la consapevolezza dei rischi a livello mondiale, tramite l’informazione dei media, sia per sensibilizzare i turisti, come ambasciatori della causa, che per attivare l’intervento delle organizzazioni umanitarie che operano in questi Paesi.
Carlo Taglia
Le riflessioni di viaggio di Carlo Taglia, documentate da foto e video, sono disponibili anche sul blog: http://karl-girovagando.blogspot.com/