Batterio killer e bufale anti-biologico: la replica degli operatori
Mentre la caccia al batterio killer brancola ancora nel buio e, abbandonati i cetrioli spagnoli, si concentra sui germogli (prima quelli di soia, ora quelli di aglio, broccoli e fieno greco), gli operatori del biologico lanciano un allarme: «Si registrano – raccontano preoccupati – tentativi di discredito e sabotaggio del settore bio, attraverso la diffusione sui media di informazioni false e errate». In particolare, viene contestata l’associazione tra batterio killer e agricoltura biologica: «La proliferazione dell’E. Coli – ripetono gli agronomi – non ha niente a che vedere con uno specifico metodo di coltivazione, che comunque deve rispettare precise norme igieniche».
In Italia, l’attacco forse più violento al metodo biologico è arrivato da un articolo pubblicato sul quotidiano Libero domenica 5 giugno, dal titolo “Il cibo bio fa ammalare 200mila tedeschi all’anno” (ora introvabile on-line, è stato rimosso?). I dati su cui si basa l’articolo, però, riguardano in realtà tutte le intossicazioni alimentari, e non solo quelle da cibi biologici: «Il Roberto Koch Institut (RKI), in prima fila nella lotta al maligno virus E.Coli, ha comunicato che ogni anno in Germania dalle 150.000 alle 200.000 persone si ammalano per contaminazioni “in natura” di generi alimentari». Intossicazioni che spesso, sottolinea Marina Marcarino, agronoma e titolare dell’azienda vinicola Punset, «spesso avvengono per scarsa igiene del consumatore e non per azioni sbagliate del coltivatore».
L’articolo basa l’allarme sulla presunzione che, in agricoltura biologica, esisterebbero maggiori rischi di contaminazione, dovuti all’uso di concime organico: «Il peccato originale della filiera alimentare biologica sarebbero i fertilizzanti organici, in genere escrementi di animali da stalla. Vengono usati dai coltivatori che, per motivi ideologici o commerciali, hanno messo al bando i concimi artificiali a base chimica. Così, non solo l’Ehec, ma anche altri batteri come salmonella, listeriosi, micotossine da funghi si sviluppano e possono diffondersi più facilmente».
Un discorso che però, a chi conosce bene il settore, sembra «insensato» e «assurdo»: «Il giornalista che lo ha scritto non conosce il settore dell’agricoltura biologica, e non sa che ci sono delle norme igieniche ben precise anche per l’uso del letame. Per usare gli escrementi come concime, prima devono essere fatti maturare: vengono compostati, con aggiunta di paglia e leguminose, e lasciati maturare, in modo che perdano la parte liquida. Durante la fermentazione, nel caso siano presenti, i batteri nocivi come l’E. Coli muoiono», spiega Marina Marcarino.
Paolo Carnemolla, agronomo e presidente di Federbio, che ha anche inviato una lettera di rettifica al quotidiano, aggiunge: «L’utilizzo del letame fresco o dell’acqua di fogna è una cosa che non esiste nel ciclo produttivo delle aziende agricole. Basta fare allarmismi, ci sono regole precise a cui gli agricoltori si attengono. E poi, i germogli sono coltivazioni che non necessitano di concime: il seme genera la pianta con acqua e calore. Un ambiente certo perfetto anche per la proliferazione di batteri. Ma in questa fase, l’ipotesi che sembra più plausibile è che fossero infettati i semi». La lettera, che cita diverse ricerche sulle qualità nutrizionali dei prodotti biologici, precisa: «Laddove vengano seguite le regole della coltivazione biologica e le regole igieniche idonee è impossibile che si possano creare le condizioni per lo sviluppo di batteri che creerebbero stragi».
I semi a cui si riferisce Carnemolla sarebbero per altro stati importati dall’azienda tedesca incriminata. Ed è qui, forse, che sta il punto cruciale. Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, spiega che, mentre in UE c’è «un sistema di regole, standard produttivi e controlli unico al mondo in termini di efficacia e funzionalità», grazie al quale in Europa abbiamo «i prodotti alimentari più sicuri nel pianeta», il problema viene quando i prodotti arrivano da fuori i confini comunitari. «Ciò che occorre con urgenza è garantire, nell’ambito degli accordi sul commercio internazionale, la così detta reciprocità delle regole. L’attenzione a questo tema è fondamentale per evitare che gli sforzi dei nostri agricoltori in materia di sicurezza alimentare siano vanificati da un mercato che è incapace di riconoscere i valori sociali incorporati nei beni alimentari».
L’emergenza, sottolinea De Castro, ha avuto gravi ripercussioni su tutto il comparto agricolo: «Gli agricoltori, in particolare, come purtroppo spesso accade in queste situazioni, sono finiti subito sul banco degli imputati e, per effetto di una psicosi ingiustificata, hanno subito gravissime perdite che si aggiungono alle difficoltà del settore alle prese con una crisi economica senza precedenti negli ultimi anni». Per sostenere gli imprenditori agricoli, «la Commissione esecutiva e il Consiglio agricolo Ue sono intervenuti con un pacchetto di aiuti (210 milioni di euro) necessari a remunerare parte delle perdite subite dai produttori di ortofrutta».
L’associazione tra batterio killer e metodo biologico, in ogni caso, spiega De Castro, non tiene: «Non credo sia corretto considerare l’agricoltura biologica come il capro espiatorio. Del resto, sono ormai anni che, fortunatamente, l’agricoltura europea, oltre che sulla quantità, punta sulla qualità, tanto da farne uno dei principali elementi di forza. In questo ambito, l’agricoltura biologica occupa un ruolo centrale». Il settore, continua il presidente della commissione Agricoltura, rappresenta «un patrimonio che va difeso e tutelato e non colpevolizzato in una situazione di incertezza in cui, l’allarmismo ingiustificato nei confronti dei prodotti ortofrutticoli europei, rischia di creare una psicosi generalizzata nei consumi con gravi ripercussioni per i produttori».
Veronica Ulivieri